EMILIO DE MARCHI Oggi si recita in casa dello zio Emilio Commedie e monologhi per bambini MILANO FRATELLI TREVES, EDITORI Terzo migliaio. PROPRIETÀ LETTERARIA. I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, comprese la Svezia, la Norvegia e l'Olanda. Tip. Fratelli Treves, 1925. Piccoli amici! EMILIO DE MARCHI, il romanziere conosciuto anche fuori d'Italia, l'autore di quei sani libri di educazione che reser più facile la nostra giovanile esperienza, scendeva spesso colla sua grande bontà al livello di noi, che allora.... eravamo piccini; e componeva monologhi, commediole, farse che poi si recitavano nel suo giardino o nella sua casa, che in quei tempi era la casa della felicità. Conosceva le nostre forse, le nostre attitudini, i nostri difetti anche, e per divertirci, educarci, e per farci figurare, inventava, scriveva e c'insegnava lui, con la solita pazienza; poi, senza bisogno di palcoscenico, scostando qualche mobile d'una sala e pregando una zietta di suonare al pianoforte un allegro intermezzo, ci improvvisavamo artisti consapevoli della nostra parte e si recitava innanzi a una folla di parenti e d'amici. Che festa all'annuncio, OGGI SI RECITA IN CASA DELLO ZIO EMILIO! Vi figurate la gioja dei nonni e bisnonni che da un pezzo non andavano più a teatro, delle domestiche che si affacciavan curiose agli usci, dei piccini che comprendevano tanto bene tutto quanto dicevamo, e cercavan di riconoscerci sotto la cuffiaccia, o il vestito di giardiniere? Bei tempi!... Una volta anche abbiamo recitato in un grande studio, colle pareti tappezzate di libri, per rallegrare un illustre infermo al tramonto della vita, e non scorderemo mai la sua commozione e il suo benevolo sorriso. Adesso noi siamo grandi e non si recita più.... ma pensammo di raccogliere per voi bambini questi piccoli lavori di chi ci amò tanto e fece lieta la nostra fanciullezza. Divertitevi, rallegrate le vostre famiglie e vogliate bene ai nipoti dello zio Emilio. LA FIGLIUOLA DEL DIAVOLO (SCENE IN UN ATTO PER BAMBINI). ATTORI. NONNA TERESA. MARIUCCIA, bambina di 6 anni. GIULIETTO, fanciullo di 10 anni, suo fratello. BATTISTA, figlio del fattore, di 10 anni. PEPPINO, altro ragazzo della stessa età. TONIO, il giardiniere. Alcuni contadinelli, fra cui BARTOLOMEO. La scena rappresenta un giardino. Da un lato un tavolino con libri ed una piccola lavagna. NB. Con poche mutazioni di parola alle parti di Nonna Teresa e di Mariuccia si possono sostituire due personaggi maschi. Per rappresentare questo scene non è necessario nessun attrezzo o meccanismo teatrale. Un angolo di sala, o meglio di giardino, si presta benissimo. SCENA PRIMA. MARIUCCIA e NONNA TERESA. MARIUCCIA. È seduta sopra un tronco, e contempla piangendo una gabbia vuota posta a' suoi piedi. Uh il mio povero canarino! e gli volevo tanto bene. NONNA TERESA. colla conocchia in mano, e una gran cuffia in testa. Viene dal fondo, cercando qualche cosa fra i cespugli. Uh la mia tabacchiera! Pagherei uno scudo chi me la trovasse. MARIUCCIA. Perchè hai voluto morire, povero canarino? NONNA TERESA. Quando è morto questo tuo uccellino, Mariuccia? MARIUCCIA. Stanotte, senza dir nulla, nonna Teresa. NONNA TERESA. Questa è una grossa disgrazia per te, se gli volevi bene. Tu l'hai dimenticato fuori della finestra e sarà morto di freddo. MARIUCCIA. E se l'accostassi al fuoco? NONNA TERESA. Quando sì è morti, cara mia, sì è morti per sempre. Cercando sempre fra i cespugli. E pure mi ricordo di averla avuta fra le mani, passando ieri di qui. MARIUCCIA. Ieri era vispo, contento e cantava ch'era un gusto. E stamattina uh! uh! era steso nella gabbia.... Gli ho dato zuccaro, biscotto, insalata, nulla ha voluto.... era morto. NONNA TERESA. C'è sempre una ragione di morire, quando è giunta la sua ora. Pensa, Mariuccia, che il tuo canarino ha ricuperato la libertà. Che vita grama era la sua! sempre chiuso tra i ferri di una gabbia! Chi di noi ci potrebbe resistere? MARIUCCIA. Ma io gli volevo bene come a un fratellino. NONNA TERESA. Tu gli avresti voluto più bene, se una di queste belle mattine di primavera, aprendogli la gabbia, gli avessi detto: Va, va anche tu, piccino, a cantare cogli altri uccellini del bosco. Adesso è felice. MARIUCCIA. E credi proprio, nonna Teresa, che il mio canarino sia andato a cantare nel bosco? NONNA TERESA. Dove si va quando si muore? MARIUCCIA. In paradiso. NONNA TERESA. In paradiso andremo noi. Per gli uccelli il loro paradiso è il bosco. MARIUCCIA. Dici davvero? NONNA TERESA. guardando fra le piante. Non senti che festa, che allegria fra quelle piante? MARIUCCIA. guardando pure fra le piante E credi che l'anima del mio canarino sia contenta d'essere nel bosco? NONNA TERESA. Certo che sì! Sta allegra anche tu, e guarda fra questi cespugli se vedi una tabacchiera. Questa so di certo che non è andata in paradiso. Mariuccia va cercando fra l'erba. SCENA SECONDA. TONIO, giardiniere, con cappello di paglia in testa e l'inaffiatoio in mano, e TERESA. TONIO. Non l'avete più trovata, nonna Teresa? NONNA TERESA. Io penso l'abbia portata via il diavolo. TONIO. Che volete che ne faccia il diavolo d'una tabacchiera. Porterà via l'anima di un signore, se può.... il diavolo! NONNA TERESA. Ben', non dite eresie, Tonio. TONIO. Saranno stati, non il diavolo, ma quei diavolini di ragazzi, il sor Giulietto, mio padroncino, o quel vostro Battista, a cui non mancano che le corna. Questi sono la mia gragnuola: e se possono tempestare un pratello, alleggerire una pianta di prugne, rompere un filare o commettere qualche altra ladreria, diventano più grassi di prima. Ma un giorno o l'altro mi cascherà nelle unghie quel vostro Battista, e allora.... NONNA TERESA. Non è soltanto lui, avete detto. TONIO. Ma con lui posso dire le mie ragioni. I padroni, si sa, hanno sempre ragione, specialmente quando hanno torto. NONNA TERESA. Non è giusto nemmeno che i poveri paghino per loro, come volete voi. Tutti vogliamo essere un po' prepotenti alla nostra maniera. TONIO. Ah nonna Teresa, ci vuol altro che proverbi a questo mondo. Ci vogliono anche dei pugni.... NONNA TERESA. Buon pro' vi facciano. Intanto guardate se vien fatto di trovare quella mia tabacchiera. Io l'avevo cara, perchè Carliseppo il mio povero marito me l'ha gettata in grembo il giorno che ci siamo fidanzati. TONIO. Quanti anni sono? NONNA TERESA. Uh.... fate il conto: ho settant'anni e ne avevo allora diciotto. TONIO. Nespoline! ne avete fiutato del tabacco da quel dì.... Ce ne sarebbe da fare un giardinetto. NONNA TERESA. E coi bicchieri che vuotate voi non ci sarebbe da muovere un molino? Esce dalla destra. TONIO. Eh! Eh! nonna Teresa, con voi è un brutto giocare a parole. Botta e risposta, la ragione è sempre vostra, Esce dalla sinistra. SCENA TERZA. GIULIETTO e MARIUCCIA. GIULIETTO. Vieni, Mariuccia, che gli faremo un bel funerale. Ho fatto chiamare Battista del Fattore e gli altri ragazzi della Cascina Rossa: vedrai, sarà un funerale coi fiocchi, da far ridere anche il signor Curato. MARIUCCIA. Benissimo; ci divertiremo. GIULIETTO. Tu farai la vedova, la signora Canarina, e seguirai il feretro, piangendo, con un velo nero In testa. Io gli farò un bel discorso. Ma prima bisogna che studi la mia lezione, perchè il babbo ha detto che se non la so, non vado in carrozza.... Studiando. "Bisogna distinguere le isole, dalle penisole, dai promontori: dicesi isola - - " vediamo, Mariuccia, sai tu che cosa è un'isola? MARIUCCIA. Io no. GIULIETTO. Babbo ha detto che chi non sa che cosa è un'isola non ha diritto di andare in carrozza. MARIUCCIA. Dillo anche a me. GIULIETTO. Dicesi isola un tratto di terra tutto circondato dall'acqua. MARIUCCIA. E come si fa per andare in carrozza? GIULIETTO. Come si fa? si piglia una barca. Ecco se babbo ti dimanda che cos'è un'isola, che risponderai? sentiamo. MARIUCCIA con franchezza. Per isola s'intende un paese dove per andare in carrozza si piglia la barca. GIULIETTO. Brava! ci si va anche coi bastimenti. MARIUCCIA. E i bastimenti che cosa sono? GIULIETTO. Un bastimento è una specie di barca, ma grande assai, alta come una casa, colle finestre, con stanze da dormire, sale da pranzo, cucina e cuoco. MARIUCCIA. Ne hai veduti di bastimenti? GIULIETTO. Molti a Genova, quando ci fui pei bagni. MARIUCCIA. E Genova dov'è? GIULIETTO. In Italia. MARIUCCIA. E l'Italia? GIULIETTO. Non sai nulla, proprio nulla? MARIUCCIA. Io no. GIULIETTO. Non impari a leggere? MARIUCCIA. Io no. GIULIETTO. Che cosa fai? MARIUCCIA. Faccio la Mariuccia. GIULIETTO. Ebbene, ascolta che t'insegnerò la Geografia. Vedi questo sasso? Colloca un sasso in mezzo al viale. MARIUCCIA. Lo vedo. GIULIETTO. Pensa che siano le Alpi. MARIUCCIA. Ho pensato. GIULIETTO. segnando in terra con un altro sasso. Qui è Milano. MARIUCCIA. Dov'è il Duomo? GIULIETTO. Adesso non sì vede: c'è la nebbia. Qui è il Po, un gran fiume, questo l'Appennino: nel mezzo Roma capitale d'Italia. MARIUCCIA. Dove va sempre il papà a fare il deputato e da dove non mi porta mai una bambola. GIULIETTO. Roma, sede del sommo pontefice.... MARIUCCIA. Che cosa fanno i deputati? GIULIETTO. I deputati sono quei signori che stabiliscono i giorni delle vacanze. MARIUCCIA. Che brava gente! Così tu non vai a scuola e stai un poco in compagnia della tua sorellina a giuocare e a fare dei funerali. Ma sento la mamma che mi chiama. Aspetta, dimmi ancora.... Un'isola è.... GIULIETTO. Un tratto di terra.... MARIUCCIA. Ah sì, mi ricordo: dove chi vuole andare in carrozza bisogna che pigli una barca.... Esce. GIULIETTO. Povera canarina! È ignorante come una pecorella, ma buona e amorosa come un gattino. Ma ora bisogna che io pensi a questo funerale. E l'iscrizione? Non muore un asino Che sia padrone D'andare al diavolo Senza iscrizione.... Questa volta l'asino è un canarino! Quali furono le sue virtù? Mangiare, dormire, cantare.... ecco tutto. Prende la piccola lavagna d'in sulla tavola e scrive. Qui giace Canarino Canterello Cantante.... Pensa profondamente a ciò che deve scrivere. SCENA QUARTA. BATTISTA e GIULIETTO. BATTISTA. nell'entrare passa fra due cespugli, e vede in terra sotto l'erba la tabacchiera di nonna Teresa. La raccoglie. To', la tabacchiera di nonna Teresa. Meno si cerca e più si trova. Buon giorno, Giulietto. GIULIETTO gravemente. Taci, non rompere il filo delle mie meditazioni. Sto scrivendo l'epitaffio del morto. BATTISTA. Ho avvertito Peppino del fornaio, Bartolomeo della Vela e gli altri della Cascina Rossa, che saranno qui fra poco colla banda da morto. GIULIETTO. E i preti? BATTISTA. Il prete lo farò io. GIULIETTO scherzando. Riverisco sor curato. Io farò il maestro del villaggio e leggerò un discorso. GIULIETTO. Riverisco sor maestro. Con voce e movimenti adatti ai personaggi che rappresentano continuano: GIULIETTO. Poichè ho avuto la buona ventura d'incontrarla, sor curato, senta che cosa avrei preparato per l'epitaffio, conciossiachè non vi può esser un morto senza epitaffio, nè epitaffio senza morto. BATTISTA pigliando tabacco. Sentiamo, sentiamo, sor maestro. GIULIETTO. Qui giace Canarino Canterello Cantante. BATTISTA. "Uomo probo onesto." GIULIETTO. Che c'entra il probo e l'onesto? BATTISTA. C'è in tutte le iscrizioni del cimitero. Io sono il sor curato e devo saperlo perchè le ho scritte io. GIULIETTO. Vuol insegnare a me che sono il maestro? BATTISTA. Io so il latino et trappola trappolorum gamberellis. Fiuta il tabacco. GIULIETTO. Dove hai trovato quella scatola? BATTISTA. Zitto, è una scatola che mia nonna Teresa cerca da iersera. Questa può servire per il cataletto. GIULIETTO. Che cosa dirà la nonna? BATTISTA. Dirà nulla, perchè non saprà nulla. Un cataletto d'osso di tartaruga non l'hanno nemmeno i principi. Sentiamo il resto dell'epitaffio. GIULIETTO. Qui giace Canarino Canterello Cantante Nato in gabbia, morto in gabbia. BATTISTA. Io aggiungerei: "Inferocendo orrido morbo". GIULIETTO. Che cosa vuol dire "inferocendo orrido morbo"? BATTISTA. Non lo so, ma mi pare che suoni bene all'orecchio, "Inferocendo orrido morbo"; non pare anche a Lei? GIULIETTO. Non è brutto, è scritto anche su una lapide del cimitero. Dove lo metto? BATTISTA. Dove vuol Lei, sor maestro. Le cose belle stanno bene dappertutto. GIULIETTO. Zitto, viene la banda. È Peppino del fornaio che la dirige. SCENA QUINTA. Alcuni contadinelli condotti da PEPPINO entrano a passo lento in fila, suonando una marcia funebre sui pezzi di legno. In testa hanno dei cappelli di carta con mortella dentro. Entrano e fauno il giro della scena, sempre suonando, finchè vanno a schierarsi nel fondo. L'ultimo della fila è BARTOLOMEO, un coso lungo e magro, con aria di gaglioffo, che suona fuor di tempo in un imbuto. Segue poi MARIUCCIA. Durante la sfilata GIULIETTO e BATTISTA. affettano d'essere l'uno il maestro e l'altro il curato e fanno una controscena comica. BATTISTA. Suonano bene, non o vero, signor Conciossiachè? GIULIETTO. Per essere villani suonano benone, caro don Abbondio. PEPPINO. Alt! tirate il fiato e tenete riparati i vostri strumenti dall'umidità. BATTISTA. Venga, sor maestro della banda, io sono il signor Curato. GIULIETTO. Ed io il Maestro del villaggio. PEPPINO. Che cosa ne dicono della marcia funebre? BATTISTA. Non c'è male, è una musica che fa proprio morire. PEPPINO. Solamente quell'ultimo piffero segna Bartolomeo stenta a stare cogli altri. BATTISTA. Ci vuol pazienza. Non si diventa pifferi tutto in un tratto. Signori suonatori, dopo il funerale vi daremo da bere acqua fresca appena attinta dal pozzo e vi procureremo una tavola pulita. Procurate d'andare d'accordo, almeno nel passo, quando suonate. A Bartolomeo. Come ti chiami, giovinotto? BARTOLOMEO. Barto, Bartolo, Barlolome...meo... BATTISTA. Si vede che sei un uomo di talento. Tu riescirai un celebre suonatore di campane. Viene in scena Mariuccia coperta da un ampio velo nero, con una corona e un mazzo di fiori in mano. GIULIETTO Silenzio, rispetto al dolore. C'è qui la signora Canarina, la povera vedovella. BATTISTA con comica gravità. Venga avanti, donna Canarina, e asciughi le sue lagrime. Certamente fu una grande disgrazia. S'egli non fosse morto forse vivrebbe ancora, ma egli ha avuta almeno la consolazione di morire noi suo letto. Pensi invece a tanti poveri uccellini che muoiono fritti in una padella o infilzati sopra uno stecco o in bocca al gatto. MARIUCCIA. dà in uno scoppio di risa e si copre il volto col fazzoletto GIULIETTO. Queste lagrime sono il giorno più doloroso della mia vita. Chiamato dal mio dovere di maestro a parlare dello virtù di Canarino Canterello, Che fu mio diletto scolaro, che cosa dirò io? Chi potrà descrivere con acconcie parole la virtù o la modestia dell'estinto defunto? Chi potrà ripetere i suoi dolci gorgheggi coi quali soleva rallegrare la casa, la corte, il giardino, l'aja o la cascina? Chi meglio di lui sapeva pigliare una pinocchia dalle dita, o divorare una foglia d'insalata? O amici, impariamo da lui a non essere merli ed allocchi, imperocchè come dice il poeta a egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti, o mammalucchi, A me pare di sentire ch'egli aleggi ancora intorno a noi ripetendo: Piangi piangi, in tua favella Canarina vedovella. PEPPINO. Dopo le elette parole dell'illustre Maestro permetta, nobile signora, che io esprima anche a nome dei miei pifferi il mio profondo dolore. I ragazzi ripigliano la marcia funebre. Giulietta e Battista con atti comicamente solenni continuano a consolare Mariuccia. La marcia funebre finisce con tre cadenze l'una più bassa dell'altra sopra un trillo acuto di Bartolomeo. Peppino si avanza e dice: PEPPINO. Dove lo si seppellisce questo morto? GIULIETTO. Io direi di scavare una fossa sotto il pino. BATTISTA. mostrando la tabacchiera, Ecco la cassa. PEPPINO. È la tabacchiera di nonna Teresa. BATTISTA. Zitto, non vogliamo mica rubarla. Finito il funerale, andremo tutti colla banda a portargliela: c'è da guadagnare un soldo e un pezzo di torta, TUTTI. Viva la torta. BATTISTA. Adesso siete andati tutti d'accordo. Meritate che io vi offra un pizzico di questo tabacco. A lei, signor maestro, provi, è vera foglia.... GIULIETTO. Foglia di fico? Piglia un po' di tabacco. BATTISTA a Peppino. E voi ne pigliate, Peppino? PEPPINO. Uno spolvero non si rifiuta mai. Come sopra. BATTISTA. E voi, giovinetti? Tutti ne pigliano un poco. Misericordia! vien la nonna Teresa. BATTISTA. Ragazzi, silenzio. Voi non avete veduto nulla. Nasconde la tabacchiera in tasca. SCENA SESTA. NONNA TERESA e I RAGAZZI. NONNA TERESA. Figliuoli, avreste mai veduta la mia tabacchiera di tartaruga.... TUTTI. Io no. NONNA TERESA. Che peccato! TUTTI. Starnutano insieme. NONNA TERESA. che stava per andarsene, si ferma, capisce, e ripete con malizia. Che peccato mortale! Piano a parte. La bugia questa volta ha il raffreddore. Ai ragazzi. Anche tu, Battista, dici di non averla veduta sulla strada del camposanto? BATTISTA. No. Starnuta e subito dopo il no è costretto a dire quasi di sì.... Cii.... NONNA TERESA con malizia. Salute. GIULIETTO starnuta. Cii.... NONNA TERESA come sopra. Evviva! PEPPINO. Starnuta. NONNA TERESA. Cent'anni. TUTTI GLI ALTRI INSIEME. Cii.... NONNA TERESA. Dio vi salvi, ragazzi miei, ciò che mi rende inquieta non è tanto il valore della scatola, quanto il pericolo che alcuno possa toccare quella polvere che c'è dentro. TUTTI I RAGAZZI fanno un movimento d'attenzione. NONNA TERESA. Vi ricordate di que' zingari che avevano poste lo tende sul sagrato della nostra parrocchia? BATTISTA. Gente brutta e nera come il diavolo. NONNA TERESA. C'è qualche cosa ancor più di brutto del diavolo, ed è la sua figliuola.... Ma parliamo di quegli zingari. Voi sapete che quei vagabondi sono anche stregoni e vendono certe polveri per lucidare il rame, per dar l'argento alle cose di stagno, per falsificare le monete. Si dice che tengano anche dei veleni. Nuovo movimento dei ragazzi, NONNA TERESA. Ora statemi a sentire. Tutti i ragazzi fanno cerchio alla Nonna che comincia a raccontare con molta evidenza, Uscivo una sera dall'aver risposto al Rosario e fra li chiaro e il fosco mi avviavo a casa, quando sull'angolo della cappelletta, dovo c'è quell'ossario, e quella morta in piedi, vedo seduta una vecchia zingara, che la più brutta creatura non conobbi mai, Aveva i capelli irti, lo unghie lunghe così, certo era una strega dello più cattive. Vedo che fa per toccarmi o io grido; State via.... che cosa volete? "Voglio vendere questa polvere che ha la virtù di uccidere le pulci. - - Bene, dico io, aspettate..... - - E siccome non volevo toccare quella polvere, piglio la mia tabacchiera, ne verso il tabacco in terra, ci metto alcuni soldi, e dico alla zingara: - . To', versate qua dentro la vostra polvere e andate in pace. Così ha fatto la donna, e se ne andò contenta co' suoi denari. Ma prima mi disse - - Guardate, buona donna, di non fiutare questa polvere per carità! C'è dentro un estratto distillato di diamante misto alla polvere malabarbarica, che è fatta colla radice del tassobarbasso.... tutti veleni potenti, che corrodono o potrebbero in due o tre giorni far cadere il naso di chi lo fiutasse. - - (Così dicendo, la vecchia megera scomparve nel buio dietro l'ossario, mormorando malabalech folcitt o altre parole in lingua gotica. Io feci a buon conto il segno della croce e tornai a casa coll'intenzione di buttare la maledetta polvere dove si buttano le cose pericolose. Ma il diavolo ci volle mettere la coda. Giunta in casa, cerco di qua, cerco di là la mia tabacchiera: frugo nelle tasche, guardo in terra, non c'è più. L'avevo perduta? era anche questa una stregoneria? Non c'è più, non ci fu più e io sono sulle spine, perchè non vorrei che uno la trovasse e credendola tabacco, fiutasse di quella polvere. A buon conto siete avvisati anche voi.... Uomo avvisato, dice il proverbio, mezzo salvato.... State allegri, bambini. Esce I ragazzi si guardano un poco in viso spaventati. Segue un istante di silenzio, BATTISTA. Credete voi a questa storia della polvere malabarbarica? GIULIETTO. E tu ci credi? PEPPINO. Non vorrei ch'ella dicesse davvero. BATTISTA. È una favola della nonna. GIULIETTO. Io mi sento un certo pizzico al naso.... PEPPINO. Taci, anch'io.... un certo formicolìo. BATTISTA. È certo un tabacco rabbioso. GIULIETTO. Se noi fossimo avvelenati! BARTOLOMEO piangendo. Uh, uh, uh. PEPPINO. Che hai tu da piangere, babbuino? BARTOLOMEO c. s. Uh, uh, uh! BATTISTA. Vuoi tu dire perchè piangi? BARTOLOMEO. Sono avvelenato, sono morto. BATTISTA. Non gli credete a questo sciocco.... Eccola qui la tabacchiera. Vi pare polvere malabarbarica quest.... la parola gli è tagliata in bocca da un potente starnuto. PEPPINO. La colpa è tua Battis.... Starnuta. TUTTI piangendo. Uh, uh, uh! SCENA SETTIMA TONIO e i RAGAZZI, poi NONNA TERESA, TONIO. Che musica è questa? Siete voi, bricconi, che ogni giorno, sconquassate lo mie siepi? A Battista. Eccolo qui il capo della masnada. Ma che hai tu, ragazzo, che hai il viso stravolto? che avete voi tutti da piangere? Io dico sempre che dovrete un giorno o l'altro finir male. Avete tutti un naso rosso che pare fregato nelle ortiche.... Costui seguendo Battista più degli altri, perchè e il capo del ladri, Tu devi medicare quel naso che diventa rosso come un cocomero.... E, tu, Peppino, hai litigato col gatto? e anche lei, signorino, che peperone! Che diavoleria è questa? voi siete stregati, ragazzi. Guarda qua, Bartolomeo, che proboscide! Oh noi poveretti! presto un dottore.... ehi là di casa! presto della malva e del burro fresco.... correte. I RAGAZZI toccandosi e soffiandosi il naso corrono per la scena in preda a una grande disperazione. È la polvere della zingara - - Siamo avvelenati. - - Ohi! ohi! BARTOLOMEO. più forte degli altri. Uh! uh! uuu.... e ciunfeta! Starnuta in un cespuglio, porta la mano alla faccia e come si sentisse perduto il naso si abbassa a cercarlo nell'erba. NONNA TERESA. Ah disgraziati, è vero quel che sento? avete fiutata la polvere della zingara? Presto, Tonio, non lasciate che il veleno penetri nel sangue. Eccovi un bastone, e fateli correre per il giardino. Guai se li piglia il sonno! Con malizia. La bugia è un gran veleno, la bugia è figliuola del diavolo. I ragazzi circondano la nonna. TUTTI. La bugia, dite.... NONNA TERESA. Dov'è questa tabacchiera? BATTISTA. Eccola.... NONNA TERESA. guardando nel fondo della scatola. Eccola qua in fondo la bugia. Siete ancora fortunati, ragazzi, che la storia della vecchia zingara è una mia favola, inventata per castigarvi. Ma voi meritereste bene di perdere il naso per avere negata la verità alla nonna Teresa. GIULIETTO. Non è vera la storia della zingara? NONNA TERESA. No. PEPPINO. E non esiste la polvere malabarbarica? NONNA TERESA. Come vi può essere un estratto di diamante? BATTISTA. con solennità. Ragazzi, se noi abbiamo detto una bugia, nonna Teresa ha dotta una bugiona, TUTTI. È vero, è vero. Guarda che naso nonna nonna Teresa! NONNA TERESA. Sì, io ho detto una bugia, perchè son come lo ciliegie. Una ne tira seco una dozzina. Ma se la mia bugia fu uno scherzo per castigare un branco di bugiardi, la vostra fu una bugia maliziosa, senza motivo ed anche cattiva, perchè ai vecchi bisogna usare cortesia e risparmiare loro anche i piccoli dispiaceri. E poi io sono vecchia vecchia, e ho poco tempo di dir bugie, ma voi siete giovani e se cominciate ora a spacciarle per sì poco, prima di morire ne avrete i sacchi pieni. Per questa volta, amen, vi perdono e non dirò nulla ai vostri genitori, ma prima giurate una guerra spietata alla figliuola del diavolo. TUTTI. Guerra! NONNA TERESA. Bravi, e consacriamo questa promessa con una presa in compagnia. TONIO. Anche a me, nonna Teresa. NONNA TERESA. offrendo tabacco a tutti. È un tabacco sincero che fa sempre dir di sì. TUTTI starnutando. Cì! NONNA TERESA. Libera la testa dai cattivi pensieri e mantiene allegri e schietti. TUTTI c. s. Scett.... NONNA TERESA. Giocate, divertitevi e ricordatevi che nel male non si trova mai la vera fe....fe....li....ci.... Starnuta. TUTTI c. s. tà. GLI ANELLI D'ORO (DRAMMA PER BAMBINI), PERSONAGGI. PADRON PIETRO, vecchio burbero, sui 70, orefice. ANGELICA, donna ancor giovane, madre di TERESINA, di 12 anni, e di GIACOMINO, di 10 anni, ragazzo operaio. GERVASA, vecchia vicina povera. Una stanza poveramente arredata. In un angolo sopra un cassettone è collocato un piccolo presepio con fronde di lauro. Una tavola, poche sedie di paglia. La scena è a Livorno. SCENA PRIMA. TERESINA, indi GERVASA. TERESINA. ordinando il presepio. Ecco, il nostro presepio è quasi fatto.... Oh che brutta giornata! Che mare grosso e brontolone! Ora prepariamo un po' di fuoco per quando torna a casa quella povera donna, stanca e bagnata! Povera mamma! tutto il dì in moto per guadagnarsi un poco di cena. Quando sarò più grande andrò io attorno per lei.... Zitto, zitto.... Al fratellino che piange nell'altra stanza. Fa la nanna.... Adesso viene mamà.... fa la nanna ninni.... GERVASA. È permesso? TERESINA. Siete voi, Gervasa? venite avanti. Come va la salute? GERVASA. Si tira là. Son settant'uno.... TERESINA tra sè. Ogni giorno un anno di più. GERVASA. La tua mamma non c'è, Teresina? TERESINA. È uscita a portar della roba. GERVASA. Sempre in moto quella povera donna! Volevo chiederle un tantino di sale, un tantino così. TERESINA. Ve lo darò io. Fa. GERVASA. Mi son trovata senza sale in casa.... Oh il bel presepio!.... TERESINA. È la vigilia di Natale.... un brutto giorno per noi.... Due anni come quest'oggi moriva il nostro povero babbo. Vi basta? Dà il sale. GERVASA. Oh sì, un pizzico. Due anni, dite? Non eravate ancora a Livorno. TERESINA. No, eravamo a Napoli. GERVASA. Ed è morto in mare il poverino? anche un mio fratello è morto in mare. La vita del marinaro è il ballo della morte. Si alza col bel tempo e va a dormire colla tempesta. TERESINA. Fu per salvare un burchiello che pericolava. Era una giornata torbida come questa, con un gran vento, quando gli vennero a dire che la Santa Maria, un grosso burchiello del suo amico Corazza, stentava a prender riva. La moglie e i figli del pescatore eran sulla riva a piangere e a gridare aiuto. Il babbo senza pensarci due volte salta con due uomini in una barca, porta con sè della corda, e va incontro al burchiello affrontando i pericoli dell'onda e del vento. Nell'atto di gettare la corda al legno, gli scivolò il piede, cadde in mare, mentre un colpo di vento portava via remo e timone.... E ci ha lasciati in questa miseria.... GERVASA. Io non sono curiosa; ma di', tuo padre non aveva dei parenti ricchi a Livorno? TERESINA. Qualche mistero c'è, ma la mamma non ne parla mai. GERVASA. Da quanto tempo siete in questa città? TERESINA. Son quattro mesi. GERVASA. E tuo fratello Giacomino dove va a lavorare? TERESINA. Ha trovato un posticino di commesso presso un orefice del corso. Ci hanno raccomandato al curato della parrocchia che si è occupato con molta carità, e gli ha trovato un bel posto. GERVASA. Non per sapere i fatti vostri.... e guadagna qualche cosa? TERESINA. Qualche lira la settimana. GERVASA. Quanti anni ha? TERESINA. Nove. GERVASA. E tu? TERESINA. Dieci. GERVASA. E la mamma che cosa fa? TERESINA fra sè. Non è curiosa la vecchietta. Forte. Lavora in biancheria, stira, lava, fa quel che può. GERVASA. E tu che cosa intendi di fare? TERESINA. Ora bado alla casa e al piccolo Enrico.... che non si può abbandonare. GERVASA. E poi? TERESINA. E poi diventerò vecchia anch'io.... (vecchia e curiosa). Ma sento Enrico che piange.... Scusate, Gervasa. Esce a destra. SCENA SECONDA. GERVASA, poi ANGELICA. GERVASA. È una ragazzina svelta e di talento; una donnina. Ero così anch'io alla sua età e forse più svelta ancora. Mi pare ieri il giorno della mia cresima e son settantadue anni sonati! Allora, saltavo, ballavo, cantavo come un usignuolo, adesso stento a muovermi, mangio poco, dormo male, son sorda da un orecchio, quasi cieca da un occhio, mi treman le gambe, mi manca la parola. Uh la vecchiezza! ANGELICA. con un grosso involto sotto il braccio. Siete voi? Gervasa? GERVASA. Addio, cara Angelica, sempre in moto eh.... ANGELICA. Che si fa? Ho tre figliuoli e il pane non lo si trova sulla via. GERVASA. Ero anch'io come voi quando avevo trent'anni. Sempre in moto, sempre in faccende. Così ho potuto allevare i miei quattro figliuoli che poi mi hanno lasciata qui sola come una vecchia gatta. Avreste, per carità, una goccia di olio?... Leva un ampollino. Mi son trovata senza una goccia d'olio in casa. ANGELICA. Ora guardo in dispensa. GERVASA. Jesus per i vostri poveri morti. ANGELICA. Se non ci si aiuta tra noi poveri.... GERVASA. Son sempre stata così anch'io. Fa bene e troverai bene, dice il proverbio.... Una gocciolina, tanto da condire una foglia d'insalata.... Angelica versa l'olio nell'ampollino. ANGELICA. Dite un requiem per l'anima del mio povero marito, Gervasa.... GERVASA. Son due anni quest'oggi ch'è morto. ANGELICA. Oh sì: per noi il Natale è una festa malinconica. GERVASA. E come mai avendo dei parenti agiati in Livorno non andate a chiedere qualche soccorso? ANGELICA. Non conosco parenti agiati.... GERVASA. Voi ne fate sempre un mistero, ma tutti sappiamo che il capitano Morelli, vostro marito, era livornese, e imparentato con molta brava gente di qui. ANGELICA. La qual brava gente non ha mai potuto perdonare a mio marito il gran delitto di avermi sposata.... GERVASA. Oh davvero? perchè? ANGELICA. Perchè ero una ragazza senza un soldo, figlia di poveri pescatori. Hanno creduto che mio marito si degradasse e degradasse la famiglia. Questa fu la ragione che lo persuase a tentare la sua fortuna in America. Gli affari andarono male; pazienza! Una volta ebbe il coraggio di ricorrere a' suoi parenti ricchi che gli fecero rispondere.... "non vi conosciamo...." GERVASA. Che cose! che cose! ANGELICA. Ecco perchè io non vado in cerca di loro.... Sono povera, sono figlia di pescatori, ma fin che avrò forza e salute non andrò a mendicare la elemosina da chi mi disprezza.... GERVASA. Fate bene, ho sempre fatto anch'io così. Che il Signore benedica voi e i vostri figliuoli. Si avvia per uscire. ANGELICA. Addio, Gervasa. GERVASA soffermandosi. Ah mi scordavo di un'altra cosa.... ANGELICA. Dite pure. GERVASA. Direte che sono indiscreta.... ANGELICA. Che, che.... GERVASA. Potreste offrirmi anche un gocciolino d'aceto? Leva un altro ampollino. Mi son trovata senza una goccia d'aceto in casa. ANGELICA. E il sale l'avete? GERVASA. Il sale c'è. Dio protegga voi, la vostra Teresina, il vostro Giacomino, il vostro Enrichetto ch'è bello come il sole; e fate pure come ho sempre fatto io; patir la fame, ma non mai stendere la mano a nessuno.... Va via. SCENA TERZA. GIACOMINO e ANGELICA. ANGELICA. Che hai? Ti senti male? Sei pallido.... GIACOMINO dissimulando. Fa freddo, mamma.... ANGELICA. Porche sei tornato così presto da bottega? GIACOMINO. Perchè? È la vigilia di Natale e chiudono prima del solito. ANGELICA. T'ha pagata la settimana? GIACOMINO distratto. Chi? ANGELICA. Padron Pietro.... GIACOMINO esitando. No.... ANGELICA. Perchè? GIACOMINO. Non so.... Passeggia su e giù soprapensiero. ANGELICA. Questo ragazzo ha qualche cosa sul cuore. GIACOMINO. Si ferma davanti al presepio voltando lo spalle alla mamma. ANGELICA tra sè. Viene a somigliare tutto al suo babbo.... Giacomino.... GIACOMINO voltandosi. Che vuoi, mamma? ANGELICA. Tu sei malinconico.... GIACOMINO. Non possiamo essere allegri in un giorno come questo.... ANGELICA Tuo padre è morto per salvare la vita agli altri; chi muore facendo del bene lascia sempre del bene dietro di sè. Coraggio, egli prega per te e per tutti.... Esce a destra. GIACOMINO. Ah sì padre mio, prega per me perché ne ho proprio bisogno. Siede addolorato davanti al presepio. SCENA QUARTA. TERESINA e GIACOMINO. TERESINA. Sei qui? Che cos'hai? è vero che sei pallido. GIACOMINO sottovoce. Chiudi l'uscio.... TERESINA. Eseguisce e torna. Che c'è? tu tremi. GIACOMINO. Una gran disgrazia. Non ci può sentire la mamma? TERESINA. Di' piano.... GIACOMINO. Faremo un brutto Natale, forse più brutto di due anni fa. TERESINA. Tu mi spaventi. GIACOMINO. Certo più brutto se Dio non ci pone un rimedio. TERESINA. Conta, per amor di Dio. GIACOMINO. Padron Pietro mi ha cacciato via.... peggio, mi farà forse arrestare come un ladro. TERESINA. Ladro, ladro tu? GIACOMINO. Tu sai che io non sono un ladro.... TERESINA. Oh Giacomino!... ma come è accaduto?... GIACOMINO. T'ho detto che in bottega c'è un nipote di padron Pietro, un ragazzo grande di sedici anni, un certo Beniamino.... TERESINA. E mi hai detto anche che egli ha il vizio di far scomparire gli anelli di suo zio.... GIACOMINO. Beniamino sa che io mi sono accorto di questo suo vizio e mi ha minacciato bruscamente una volta, se osavo parlare.... TERESINA. Me l'hai detto. Tu hai anche qualche sua lettera di minaccia.... GIACOMINO. Ora padron Pietro si è accorto e ha aperto gli occhi. Beniamino per sviare i sospetti ha pensato di tendermi una trappola. Stamattina uscivo per una commissione quando sentii chiamarmi nello studio del principale. Entro e lui mi dice: Vien qua.... Mi afferra per un braccio, mi caccia la mano in tutte le tasche del soprabito, e qui, nel taschino di sotto, tira fuori due anelli d'oro.... TERESINA. Chi? padron Pietro? GIACOMINO. Sì. TERESINA. Che cosa t'ha detto? GIACOMINO. - ....Ora capisco chi fa scomparire i miei anelli - grida fuori di sè il vecchio furioso. - ....To' questo per ora - e mi dà un gran ceffone. - Va via, e preparati a render conto di tutto davanti alla giustizia.... TERESINA. Davanti alla giustizia?... e tu che cosa hai detto? GIACOMINO. Ho protestato ch'ero innocente.... Ma non mi ha lasciato parlare; mi ha cacciato via come un cane. Come può permettere nostro padre questa vergogna? TERESINA. Tu non hai detto che Beniamino è il ladro?... GIACOMINO. Non mi crede, non vuol credere; Beniamino è suo nipote, e ogni mia scusa è un'ingiuria che io faccio alla sua famiglia. TERESINA. Eppure è stato lui a nascondere gli anelli nella tasca del tuo soprabito.... GIACOMINO. Certo è stato lui, ma io non posso provarlo. Mi farà arrestare.... TERESINA. O Madonna addolorata, abbiate compassione di noi.... ANGELICA di dentro. Teresina.... TERESINA. Zitto, la mamma. Non diciamolo nulla. Sta' su, fingi di accomodare il presepio.... Vengo, mamma. Piano. Se si potesse andare insieme da padron Pietro?... ANGELICA. Ora, Enrichetto, mi pare addormentato. Io scendo qui sotto dalla signora Bettina e torno subito; tu accendi intanto il fuoco.... Esce a sinistra. TERESINA. Sì, mamma..... - Se andassimo insieme da padron Pietro, tu potresti dargli le prove della tua innocenza.... GIACOMINO. Quali prove se egli non mi vuol credere? e che servirà la mia innocenza quando io sarò arrestato e condannato? Se io fuggissi? TERESINA. No. no, se tu fuggi ti crederanno colpevole. E poi dove vuoi andare? che cosa dire alla povera mamma? noi andremo Insieme dal giudice. Parlerò io per te. GIACOMINO. Il giudice crederà più a padron Pietro che a te. TERESINA. Madonna, mandatemi un buon pensiero. Se tu scrivessi una bella lettera al tuo padrone? GIACOMINO. Se non crede alle mie parole e alle lagrime, non crederà alla mia lettera. TERESINA. Quando tu levi il soprabito dove lo lasci di solito? GIACOMINO. Nel magazzino cogli altri. Beniamino ha colto il momento In cui ero occupato in bottega e ha nascosto gli anelli. Dopo è andato ad accusarmi allo zio. TERESINA. E lo zio vuol bene a questo suo nipote? GIACOMINO. Più che a me. È un uomo severo e un poco avaro. TERESINA. Eppure Dio non può lasciar condannare un innocente! GIACOMINO. Zitto, hanno bussato alla porta. TERESINA. Chi sarà? GIACOMINO. Se fossero le guardie? se venissero per arrestarmi? Battono. TERESINA. Il cuore mi vuol scoppiare.... GIACOMINO. corre a guardare nella serratura. Dio mio, è lui. TERESINA. Chi? GIACOMINO. Padron Pietro. TERESINA. Venga pure; gli parlerò io. Non lasciarti vedere; va di là e non uscire se non ti chiamo. Lo manda via. Ora vedremo questa faccia di vecchio tiranno. - Avanti, avanti, signor Pietro riverito.... SCENA QUINTA. PADRON PIETRO e TERESINA. PADRON PIETRO. Abita qui quel bel mobile che ruba gli anelli? Dov'è tua madre? Chiama subito tuo padre o tua madre, subito, dico adesso.... TERESINA. Mio padre non c'è più. È morto. Mia madre è uscita. È lei quel che chiamano padron Pietro, orefice all'insegna del pappagallo d'oro? PADRON PIETRO. Non c'è bisogno di dar tante spiegazioni alla signoria illustrissima. Dov'è tua madre, dico adesso.... TERESINA. È forse venuto per parlare di Giacomino? PADRON PIETRO. Sissignora, di Giacomino, orifice all'insegna del gatto ladro. TERESINA. Giacomino non fu, non è, e non sarà mai un ladro. PADRON PIETRO. Taci, linguetta. TERESINA. Ho diritto di parlare.... Giacomino è mio fratello.... PADRON PIETRO. Non farmi arrabbiare, dico adesso.... Dov'è tua madre? TERESINA. La madre, dico adesso, sono io, sor padron Pietro. La prego d'accomodarsi. Dà una sedia. PADRON PIETRO tra sè. Hum! La sorella è degna del fratello. Siede. Che cosa comanda la signora padrona? TERESINA. Non comando nulla. Dico soltanto che è un tradimento, un'infamia accusare un povero ragazzo d'una colpa che non ha commesso. PADRON PIETRO. È ciò che tuo fratello dimostrerà al giudice, non a me che gli ho trovato gli anelli in tasca. Fa vedere due anelli d'oro. TERESINA. Gli anelli li ha messi apposta Beniamino suo nipote, per gettare la colpa addosso a Giacomino. Quello è il ladro.... e non soltanto di anelli.... PADRON PIETRO. Se non fossi una bambina t'insegnerei a rispettare la mia famiglia.... TERESINA. È così. Ma senta, signore, noi non vogliamo far del male a nessuno, quantunque non ci manchino le prove per dimostrare che il ladro è il sor Beniamino.... PADRON PIETRO. Quali prove? che prove avete voi? TERESINA. Giacomino le darà al giudice.... PADRON PIETRO tra sè. Cospetto.... questa franchezza mi impensierisce un poco. Forte. Senti, ragazza, mi piace che tu difenda tuo fratello.... ma tu butti fuori delle brutte accuse.... TERESINA. Mio fratello non ha bisogno di difensori. Darà le prove al giudice. Tutti sanno che bel mobile è il signor Beniamino: non è la prima volta che allunga lo zampino sulla roba degli altri. PADRON PIETRO. Se tuo fratello aveva queste prove perché non ha parlato stamattina?... TERESINA. Perchè aveva promesso a me di non dir nulla. Il signor Beniamino è suo nipote, è forte, è prepotente, e Giacomino è un povero ragazzo. Ma ora che si accusa un innocente, non gli useremo più riguardi. Suvvia, padron Pietro, non mi faccia il viso scuro. Io vedo che in fondo Lei è un uomo di cuore e non vorrà rovinare una povera famiglia e disonorare suo nipote. La mamma non sa ancor niente di questa faccenda; guai! ne morrebbe di dolore. Giacomino è venuto a casa più morto che vivo, e mi ha giurato davanti al ritratto di nostro padre prende il ritratto e davanti al presepio che lui gli anelli non li ha presi. Siam povera gente ma onorata; viviamo di pane e di minestra in due stanzucole sopra i tetti, mentre la mamma potrebbe invocare l'aiuto dei parenti ricchi. Se Giacomino avesse rubato me lo avrebbe detto; o lo glielo leggerei negli occhi. Via, sia buono, vediamo di aggiustare la cosa tra noi.... Gli siede su un ginocchio, e furtivamente lascia cadere in una tasca del soprabito le forbici, il gomitolo, e in un'altra il ritratto del padre. PADRON PIETRO tra sè. Come son furbi questi straccioni! Si alza. Non carezzarmi, dico adesso, che io non cerco le tue carezze. Tuo fratello confessi il suo fallo e io potrò forse perdonargli.... Ma badi a non lasciarsi più vedere in negozio. TERESINA. Questo non si chiama perdonare. Lei deve credere anche alla sua innocenza. PADRON PIETRO. Tu non darmela ad intendere, vecchia zingara; ma quando io trovo la roba mia nella tasca degli altri.... TERESINA. Faccia come crede.... Vedremo chi sarà il ladro più grosso.... PADRON PIETRO. Voi mi mettete in puntiglio. Siete ladri e superbi. TERESINA. Sissignore: ladri e ostinati.... Chiamando. Giacomino, vieni fuori; tu non devi avere paura di un ladro, zio di ladri.... GIACOMINO esce sulla scena. Torno a ripeterle che sono innocente. PADRON PIETRO. Son cose che aggiusteremo poi.... Ora dico a te e a questa pettegola che non sono disposto a sopportare i suoi insulti. Pezzenti sfacciati, figli di pezzenti; la vedremo tra poco.... Fa per andar via. TERESINA grida. Al ladro, al ladro.... gente, olà! Gridando verso l'uscio. Ladri in casa.... PADRON PIETRO furioso. Che scena è questa? brutta strega, ora ti rompo il bastone sul capo. TERESINA grida. Ladri in casa.... SCENA SESTA. ANGELICA, GERVASA, PADRON PIETRO, TERESINA, GIACOMINO. ANGELICA. Che c'è? GERVASA. Gesummaria, che spavento! TERESINA. Arrestatelo.... ANGELICA. Si può sapere? PADRON PIETRO. Parlerò io. Siete voi la madre di questo signorino? Ebbene sappiate che da qualche tempo vanno scomparendo dalla mia bottega degli oggetti preziosi, senza che si potesse mai scoprire lo zampino del ladro. Finalmente stamattina frugando nelle tasche di questo caro ragazzo ho trovato due anelli miei coi quali forse questo bel giojello cercava fare un corredo di nozze a questo bel bijou di sorella.... ANGELICA. Non è vero, non è possibile. Vieni, Giacomino, di' che non è vero,... GIACOMINO sicuro. Non è vero mamma. ANGELICA. Oh lo sapevo già; Dio ti benedica, figliuolo.... Lo bacia. PADRON PIETRO tra sè. Che commedianti! Che commedianti - Che non sia vero dovrà dimostrarlo al giudice. Gli anelli li ho trovati io colle mie mani nelle sue tasche.... In quanto a lei, signorina, le perdono poichè è una pettegola. TERESINA. Se lei fa un passo ancora, io grido al ladro alla finestra, e faccio venir le guardie.... PADRON PIETRO. Che vuoi dire, scioccherella? TERESINA. Arrestatelo! egli ha rubato le mie forbici. PADRON PIETRO. Di che forbici vai tu forbiciando? TERESINA. Frugategli nelle tasche.... PADRON PIETRO. Fruga e trova le forbici. Dico adesso, che roba è questa? TERESINA. Mi ha rubato il mio gomitolo.... PADRON PIETRO. È un giuoco di bussolotti. Leva il gomitolo. TERESINA. Quando io trovo la roba mia nella tasca degli altri posso ben gridare al ladro.... - Ha rubato perfino il ritratto di nostro padre.... PADRON PIETRO. Oh dico adesso.... È uno stregamento. Leva un ritratto, lo guarda, e trasalisce. Chi vedo? Come si trova qui questo ritratto? - Arnaldo!... ANGELICA inginocchiandosi. Arnaldo Morelli, mio marito, suo nipote, signor Pietro, il padre di questi poveri figliuoli.... PADRON PIETRO. Voi siete quella donna.... ANGELICA. Sì, io sono quella povera donna ch'egli ha voluto sposare contro la volontà de' suoi parenti, e che rimasta vedova d'un uomo onesto e valoroso, cerco d'educare i miei figli nel sentimento dell'onore e della giustizia. - Non perdoni a me, perdoni a un povero morto.... PADRON PIETRO. Da quanto tempo siete in Livorno? ANGELICA. Da quattro mesi per assistere il mio vecchio padre. PADRON PIETRO. E perchè non vi siete fatta conoscere? ANGELICA. Per non farmi respingere.... PADRON PIETRO. Non dico adesso che abbiate fatto bene.... Io non sapevo che fosse vostro figlio.... Povero Arnaldo, ha avuto i suoi torti, ma.... se fosse stato meno orgoglioso.... Di che cosa vivete ora? ANGELICA. Lavorando, signore.... PADRON PIETRO. Siete in uno stato... veramente... Ebbene... Giacomino? Avrei dovuto riconoscerti agli occhi che eri della nostra famiglia. Lasciatemi sedere. Se mi aveste avvisato a tempo avrei risparmiato a me e a voi questo dolore.... Venite qui, Angelica, forse anche noi abbiamo avuto dei torti con voi.... Domani è Natale, giorno di perdono e di pace.... GERVASA. Oh che bella scena, oh che bella scena! Posso testimoniare che questa donna è la perla della sua casa, e che questi cari figliuoli meritano proprio d'essere benedetti. In settantaquattro anni che sono al mondo non ho mai assistito a una scena più commovente. ANGELICA. Signor Pietro, se la prova d'una madre può avere qualche valore posso giurare che Giacomino non ha toccata la roba non sua.... PADRON PIETRO. Non parliamone più.... TERESINA. Allora perdono anch'io..., e credo che il signor zio non è capace di rubare la roba non sua.... PADRON PIETRO. Ben dovevo capire al tuo scilinguagnolo che tu eri una pitocchella diversa dalle altre. Come ti chiami? TERESINA. Teresina. PADRON PIETRO. Ebbene, Teresina, vuoi venire a far Natale con me? TERESINA. Se vien la mamma? Dove non può andare la mamma non va nemmeno Teresina. PADRON PIETRO. Venite tutti.... e cercate di farvi voler bene da un vecchio parente ruvido, brontolone e senza figliuoli. TUTTI. Grazie.... Grazie.... GERVASA. Tutti son contenti, tranne la vecchia Gervasa, che passerà il suo settantacinquesimo Natale sola come una gatta sul solajo. Se avessi almeno i denari di andare fino a Chiavari in casa di mia figlia Nunziadina.... PADRON PIETRO. Ho capito.... Vi bastano cinque lire? GERVASA. Che cosa dice? Son quasi troppe.... Per me viaggio con pochi centesimi nella barca di Gian Andrea; ma non si vuol andare da quei bambini a mani vuote. PADRON PIETRO. Allora ve ne darò sei. GERVASA. In settantasei anni che sono al mondo non ho mai visto tanta bontà. PADRON PIETRO. E di questi due anelli ora che si fa? Contempla gli anelli; tutti tacciono ed aspettano. Gervasa allunga il collo. Iddio ha voluto servirsi di questo mezzo per compiere un atto di riparazione. Sian gli anelli della pace come furono gli anelli della discordia. Questo a voi, Angelica.... e questo a te, caro scilinguagnolo, che mostri di voler bene a tuo fratello. - In quanto a te, Giacomino, basti per ora una stretta di mano, io penserò al tuo avvenire. Gli stringe la mano. GIACOMINO. Grazie, zio. GERVASA. Oh che bella scena! Allunga la mano. TERESINA. In compenso tu devi consegnare a padron Pietro la lettera che volevi consegnare al giudice.... GIACOMINO. A un patto!... che lo zio perdoni anche a Beniamino come gli perdono io. Dà una lettera allo zio PADRON PIETRO. Contemplando la lettera, fa un atto di dispetto, quindi cedendo lacera il foglio. GIACOMINO e TERESINA. Sia giorno di Natale per tutti. PADRON PIETRO. DI questo affare parleremo più tardi. Cara Angelica, spero vedervi presto a casa mia. Giacomino sa dove abito. TERESINA. All'insegna del pappagallo d'oro.... ANGELICA. Accompagnatelo fin dabasso, figliuoli! SCENA SETTIMA. GERVASA e ANGELICA. GERVASA. E poi si nega la Provvidenza! In questa storia curiosa degli anelli, vedo quasi la mano del vostro povero marito. Ora per voi, è cessato lo stento, cara vicina.... Andrete in una bella casa, e vedrete i vostri figliuoli viaggiare in carrozza. Io resterò sempre co' miei settantotto anni.... in questa stamberga, finchè la morte verrà a portarmi via.... ANGELICA. Dio c'è per tutti, buona Gervasa.... e voi camperete fino ai cent'anni. GERVASA. Cent'anni?!..., Questo è impossibile, ne ho appena settantanove.... CHI NON CERCA TROVA (PER BAMBINI). PERSONAGGI. GHITA, nonna. NUNZIATA contadina giovinetta. ALBINA contadina giovinetta. LUCIA contadina giovinetta. La scena può accrescersi con altre contadinelle. MARTIN DELL'OLMO, giovinetto. Cortile di cascinale o giardino. SCENA PRIMA. GHITA, NUNZIATA, ALBINA e LUCIA. Le ragazze stanno filando e cucendo intorno a un tavolino, e cantano un'aria campestre. GHITA. Ragazze, chi di voi vuol maritarsi? NUNZIATA e ALBINA. Io. GHITA. Vedete le pretenziose. Non sanno tenere in mano l'ago e la pezzetta e già pensano a maritarsi. NUNZIATA. Ai vostri tempi, nonna Ghita, non era così? ALBINA. E non l'avete trovato anche voi il vostro Bartolomeo? GHITA. Ai miei tempi le ragazze non avevano il capo alle frasche. Facevano quel che volevano il pà e la mamma. Non si perdeva il tempo in ciarle alla fontana, e al marito si portava una dote di buona volontà di lavorare. NUNZIATA. Che bei tempi! allora le ragazze portavano gli zoccoli d'oro. ALBINA. Non aprivano la bocca che per dire dei rosari. GHITA. Erano meno ambiziose, signor sì. Non si vedevano tanti nastri e tante fettuccie. Un giovinetto quando andava a cercare la sposa guardava se aveva il dito punzecchiato dall'ago. Certe manine da contessa erano una cattiva raccomandazione. NUNZIATA. Insomma ai vostri tempi, mamma Ghita, piacevano le brutte. ALBINA. Ora capisco perchè vi siete maritata anche voi LUCIA. Senti le brutte sfacciate! GHITA. Tu non vuoi maritarti, Lucia? LUCIA. Io no. Io proferisco curare le oche. GHITA. Sapete chi è arrivato al mulino? NUNZIATA e ALBINA. Chi? GHITA. Martin dell'Olmo, il figlio di Iseppe mugnaio, che ha finito il suo servizio militare. NUNZIATA. È venuto una volta vestito da bersagliere. GHITA. È un bel giovanotto eh? ALBINA. È vero che cerca moglie? GHITA. Per le curiose è stata fatta una prigione nuova. ALBINA. Si diceva che volesse sposare voi, nonna Ghita. GHITA. Guardate ragazze che chi scherza le vecchie non arriva a portare la cuffia. LUCIA. Io non ho detto nulla di male, nonna Ghita. GHITA. Tu, Lucia, sei la meno diavola, quantunque anche a te piaccia far la gatta morta. Vedo però che ti piace lavorare e in chiesa tu gli occhi li tieni sempre verso l'altare. NUNZIATA e ALBINA. E noi, forse? GHITA. Voi cercate sempre qualche cosa che stentate a trovare. Ai miei tempi le brutte si maritavano, ai vostri le belle restano a spulciare li gatto. NUNZIATA. Questa è per te, Albina. ALBINA. Ti pare? Io non sono un sole di bellezza. NUNZIATA. Che cosa racconta di bello questo Martin dell'Olmo? GHITA. Ora voi mi fate la corte, eh?.... Sapete che nonna Ghita ha la mano felice per certe cose. E me ne vanto! Da che ho perduto il mio povero Bartolomeo avrò a quest'ora combinato più di quarantacinque bei matrimoni. E tutti mi benedicono. Non c'è in tutto il circondario per un giro di dieci miglia un giovinotto un po' in gambe che non venga a cercare consigli a nonna Ghita della Vela. NUNZIATA. Sai tu, Albina, perchè nonna Ghita porta queste saccoccie così grandi? ALBINA. Di qua tiene i bei giovinetti e di là le brutte ragazze. GHITA. Sissignore, sissignore: di qua i bei giovinotti e di là le ragazze di giudizio. ALBINA. E tra una castagna e l'altra fa così... Fa il gesto di unir le mani. GHITA. Sissignore, faccio così. E ho visto molte ragazze che prima soffiavano di superbia venire a battere al mio uscio: "Nonna Ghita, fate la carità a una povera ragazza". NUNZIATA. Noi non andiamo a cercare la carità. GHITA. Verrete anche voi. NUNZIATA e ALBINA. No, no.... LUCIA. Nonna Ghita, se trovate un maritino di carta pesta, tenetelo in serbo per me. GHITA. Allora ti metto nella saccoccia, Lucia. NUNZIATA. Si vive benissimo anche così.... ALBINA. Io odio quel brutti serpenti che si chiamano uomini. GHITA. Già, già, già.... NUNZIATA. Sono tutti ubbriaconi, bestemmiatori.... ALBINA. Ci picchiano come carne di polpette. GHITA. Già, già, già.... LUCIA. Ma che sia piccino, da poter chiudere nell'agoraio. GHITA. Tu lascia fare a me. Ti ho già messa nella saccoccia. NUNZIATA e ALBINA. Anche noi, anche noi. GHITA. Lor signori non son della nostra pasta, per loro verrà qualche principe di Calicut a cavallo d'una lumaca. Ma che si diceva di Martin dell'Olmo? Ah, che si è fatto un bel giovinetto. A soldato me l'hanno ripulito e ha messo un paio di baffetti che è una meraviglia. Mi contava poi una certa storia.... NUNZIATA e ALBINA. Che storia? GHITA. Eccolo qua. La faremo contare a lui. SCENA SECONDA. MARTIN DELL'OLMO e le SUDDETTE. MARTINO. Ehi là, della Cascina Doppia, siete in gambe? NUNZIATA. Addio, Martino. ALBINA. Addio, Martino. MARTINO. Voi siete l'Annunziata e voi l'Albina. Come siete divenute grandi!... LUCIA. E io non sono diventata grande? Si alza. MARTINO. Voi Lucia siete ancora quasi un pulcino, ma non avete perduto il vostro tempo. GHITA. a Martino in disparte. Queste tre sono tutte disponibili. Ora faremo la prova chi merita di più. NUNZIATA ad Albina. Piace a te questo mugnaio infarinato? ALBINA. Va, sembra un pesce preparato per friggere. MARTINO. Che gusto di rivedere il suo campanile dopo tre anni! NUNZIATA. Siete stato molto lontano? MARTINO. Eh, eh.... Sono stato in Cicilia, In Calabria, a Palermo e quasi andavo in Africa ad ammazzare Ras Alula. Ho veduto Roma, che è una città da fare restare a bocca aperta, dove si beve un boccale di vino per cinque soldi. A Pisa ho visto una torre che non sta in piedi. A Venezia chi vuole andare in carrozza bisogna che prenda una barca. A Milano si mangia una buona busecca per tre soldi. Non dico niente del mare, che è un fosso profondo, con dei pesci già salati che se aprono la bocca possono inghiottire la nostra chiesa colla casa del curato. LUCIA. O madonnina, non avete avuto paura? MARTINO. Un bersagliere non ha paura di niente. ALBINA. E che ne avete fatto di quelle belle penne nel cappello? MARTINO. Lo ho venduto a un gallo che aveva perdute le sue. GHITA. Martino è sempre quel mattacchione allegro. MARTINO. Due cose non ho trovato in giro per il mondo: le nostre patate e le ragazze come le nostre. NUNZIATA. Non sono belle le ciciliane? MARTINO. Che! hanno dei musetti di scimmia. ALBINA. E le napolitane? MARTINO. Orribili, sempre spettinate e sempre colle mani in testa, senza il vostro rispetto. NUNZIATA. E le genovesi? MARTINO. Non mangiano che aglio e cipolle. LUCIA. Moglie e buoi dei paesi tuoi. GHITA. Io stavo per raccontare quello che tu hai sentito dal maggiordomo di casa Trivulzio. Piano. Contala bene la fanfaluca e sta attento. MARTINO. Ecco qua. Il maggiordomo di ca' Trivulzio mi ha detto che dovrà venire alle Cascine Doppie un.... come si dice? un mangiastracci della polizia.... GHITA. Tu vuoi dire un magistrato, un giudice.... MARTINO. Precisamente, un giudice che ci interrogherà tutti a proposito di una storia che risale a diciotto o a venti anni fa. TUTTE. Che storia? MARTINO. Si racconta che diciotto o venti anni fa sia stata rubata a una contessa di Milano una bambina appena nata. TUTTE. Rubata? MARTINO. Sicuro! Un parente che voleva portare via l'eredità di due milioni, aveva pagata una balia a rubare la bambina che avrebbe dovuto ereditare quella grazia di Dio. L'intenzione di quel birbante era di lasciare morire la creatura di fame o di stenti. Ma la balia, che era delle Cascine Doppie, fece passare una bambina morta di croup per la contessina e tenne e allevò in casa sua la contessina come una sua figliola. NUNZIATA. Dite davvero? ALBINA. E questa donna era delle Cascine Doppie? MARTINO. Sicuro. Ma un servitore in punto di morte avrebbe confessato il segreto al confessore che ne parlò al principe e ora si faranno le ricerche dove sia e chi sia questa contessa vestita da contadina. NUNZIATA un po' pensierosa. Guarda che storia!... ALBINA c. s. Guarda che storia!... MARTINO. Preparatevi dunque ad essere interrogate ad una ad una. Chi di voi si sente contessa si prepari a ereditare due milioni e a sposare un principe. LUCIA. Per me non mi sento contessa. Canta. Io son contadinella Alla campagna avvezza.... Le gale non apprezzo Non curo la beltà. Di buon mattin mi levo. Prendo la rocca e il fuso, Poi come è nostro uso Mi metto a lavorar. Lascio a voi il principe coi suoi milioni e vado in cerca delle mie oche.... GHITA piano a Martino. Questa è la moglie per te, Martino. MARTINO. Se permettete, Lucia, vi accompagno. Voglio salutare la vostra mamma. LUCIA. Venite che vi farò vedere anche il vitello di latte. GHITA. Vi accompagno un pezzetto anch'io.... Vi saluto, ragazze. SCENA TERZA. NUNZIATA e ALBINA. Passeggiano un po' sopra pensiero. NUNZIATA. Un'eredità di due milioni! ALBINA. Sposare un principe. NUNZIATA. Son storie che accadono veh!... Mi raccontava Meneghina del Gatto che al suo paese è stata scoperta una volta una regina vestita da carbonaia. ALBINA. E chi sarà questa contessa? NUNZIATA. Lucia no di certo. Essa non parla che di oche e di vitelli. ALBINA. E come si farà a distinguere una contessa da una contadina? NUNZIATA. Ci vuol poco eh.... si guardano le mani e i piedi. Le tue mani per esempio non sono fatte per sonare il pianoforte. ALBINA. Lei ha le mani di biscotto. Io credo invece che si capisce dal carattere. Una contessa non è nata per lavorare. Io, per esempio, non per nulla ho preso scopole e bacchettate per la mia pigrizia. NUNZIATA. Io non farei che ricamare e cantare. ALBINA. Vuoi dire che ti senti nata contessa? Ah babbea, guardati in un secchio d'acqua. Le contesse sì giudicano dalla carne fine e delicata. Con questi capelli duri come lische puoi giusto vantarti. NUNZIATA. Se si dovesse giudicare dai capelli tu saresti nata da un pomodoro. ALBINA. E tu credi di avere un bel muso! Quando t'incontrano le oche strillano di spavento. NUNZIATA. Quando parli si addormentano le galline. ALBINA. Io almeno so leggere il libro da messa. NUNZIATA. Sei saporita come una rapa. ALBINA. Non c'è un cane che ti voglia, te. NUNZIATA. Sei più amara del rabarbaro. ALBINA. Sei gelosa, invidiosa.... NUNZIATA. Non invidio le zucche. ALBINA. A chi zucca? NUNZIATA. A te zucca. ALBINA. Te la spezzerò la zucca! Guarda che mi sento nobile, veh! NUNZIATA. Abbassa le mani.... ALBINA. A toccarti si ha schifo. NUNZIATA. Contessina del ramolacci. ALBINA. Principessa delle ortiche. NUNZIATA e ALBINA. Zucca barrucca, mammalucca, smorfia, lavascodelle, strapparape. SCENA QUARTA. GHITA e SUDDETTE. GHITA. Che diavoleria è questa? Giù le mani, ragazze, vergogna! È così che imparate a lavorare? NUNZIATA. È questa che pretende di essere contessa. ALBINA. È lei che vanta le sue manine. NUNZIATA. Dice che l'hanno rubata a un principe. ALBINA. Crede di essere nata nel pizzo. GHITA. Ragazze balorde! NUNZIATA. Ma ci rivedremo, contessa zuccoria. ALBINA. Quando vuoi, nobile scalcagnata. GHITA. Ah, ho capito. La storia di Martino vi ha messo il sangue bleu sotto sopra. Ciascuna di voi pretende di essere la famosa bambina.... NUNZIATA e ALBINA. Perchè no? GHITA. Si vede invece che siete nate tutte e due da un cavolo. La storia di Martino è una favola combinata tra noi due per fare una prova. Quando un giovinetto vuol prendere moglie dove prima vedere se la sposa è modesta, umile, attiva e se non ha il capo alle frasche. Martino a quest'ora vi ha giudicato. NUNZIATA. Ah.... nonna Ghita birbona! ALBINA. Dunque ci avete corbellate.... GHITA. Vi ho messo alla prova. Quando Martino venne a casa mia a prendere un buon consiglio, io gli ho detto: Alle Cascine Doppie ci sono molte ragazze ma è bene che tu le conosca da te. Il povero ragazzo ha bisogno di sposare una contadina: voi.... avete troppo sangue bleu nelle vene. Per voi è in viaggio il Principe di Calicut a cavallo di una lumaca. SCENA QUINTA. MARTINO, LUCIA e SUDDETTE. MARTINO. Nonna Ghita, ho veduto abbastanza e la mia scelta è fatta. Lucia vi conterà il resto. Care ragazze, arrivederci; se qualcuna di voi erediterà i due milioni, si ricordi anche del povero Martin dell'Olmo. Chi sprezza la farina Cenere mangerà La re la là.... Nunziata e Albina si guardano un po' burlescamente e ripetono ballonzolando: La re la là La re la là.... LUCIA. Nonna Ghita, Martin dell'Olmo mi ha detto che avevate a dirmi una gran cosa. GHITA. Sicuro, ti vuol sposare, Lucia. Sei contenta? LUCIA. Sposare me? Ma dite davvero? Come farò a dirgli di si? E le mie oche? GHITA. Al molino non mancano le oche. Tu dovresti mandargli subito un mazzetto di fiori. LUCIA. Io sposa? Oh madonnina! Piange e nasconde il viso nel grembiale. Io sposa? Oh madonnina come son contenta.... Va via piangendo. Nunziata e Albina siedono in fondo un po' mortificate. NUNZIATA. Nonna Ghita! ALBINA. Nonna Ghita! GHITA. Chi mi chiama? NUNZIATA. Non avete più posto in questa saccoccia? ALBINA. Non c'è più nessuno qua dentro? GHITA. Ah, ah.... ve l'ho detto? ci ho dentro due parole: tacere e lavorare. NUNZIATA. Io tacerò tre mesi di fila. ALBINA. Io filerò cento camicie. GHITA. Così va bene: Colla calza e col cucito Si prepara un buon marito e ricordatevi anche che chi non cerca trova. Si finirà con un balletto campestre in onore degli sposi. LA CURIOSITÀ (MONOLOGO PER GIOVINETTA). Gli oggetti che occorrono per la scena sono di volta in volta indicati nel discorso e stampati in carattere grosso. È sera, sul tavolino c'è una candela accesa. TERESINA sta frugando inginocchiata presso una cassa di stile antico. Questa vecchia cassa è per me una miniera di continue sorprese e di curiosità. L'ha comperata l'anno scorso lo zio Cassiano all'asta d'un gran marchese fallito, insieme a una quantità di oggetti e di straccerie antiche; e il mio passatempo è di mettere le mani in queste cianfrusaglie che parlano del tempo che fu. Ecco qua una magnifica châtelaine (farà vedere un ricco ciondolo al pubblico). Lo zio Cassiano dice che è del seicento e che può valere qualche migliaio di lire. Ecco qua un paio di scarpette di seta che appartennero forse a qualche principessina dei tempi di Maria Teresa (infila le scarpette sulle mani, si alza e viene a mostrarle agli uditori). Chi sa com'era superba de' suoi piedini di bambola la bella signora, quando si presentava a ballare col suo cavalier servente. (Cantarellando un'aria di minuette eseguisce qualche passo di danza) Così.... (come se salutasse fa una grande riverenza e torna ridendo a frugare nella cassa). E questa cuffia? (leva una cuffia e fa come prima). Oh! qui c'è dentro tutto il secolo decimottavo (se la mette in capo e corre a guardarsi in uno specchio). Questa cuffia era forse la nonna di quelle scarpette. (Colla cuffia in capo siede dandosi un'aria di sussiego). La gran dama sedeva con un gran sussiego sul canapè alla rococò, nel guardinfante, colla grossa tabacchiera nelle mani, e con un'occhiata faceva correre i servi, le nuore, i nipoti.... la cagnolina. Allora le nonne erano più severe d'adesso. E anche le mamme non davano troppa confidenza alle bambine. Peggio per loro. (Si leva la cuffia e torna a frugare nella cassa). E questo cofanetto? questo non l'ho mai visto (lo gira e rigira nelle mani). È chiuso. Ha l'aria d'essere un coso antico anche lui, forse contemporaneo di quella cuffia. (lo scuote) Par che ci sia qualche cosa dentro. Se ci fosse lo zio Cassiano, glielo farei aprire. (lo scuote di nuovo) Ci si sente un certo din din.... Che sia pieno di zecchini? Già, io sono molto curiosa, e trovo che è un patimento quando non si può sapere quel che si desidera di sapere. Ma ci vuol pazienza.... (nel riporre il cofanetto e le scarpette, da una di queste lascia cascare in terra una chiavettina) Che c'è? una chiavettina, Era forse attaccata a una di queste graziose scarpette (le raccoglie), Che sia la chiavettina del cofanetto? Dobbiam provare? (mette la chiave nella toppa), Entra, va bene.... (esitando) Veramente è indiscrezione metter le mani nella roba degli altri, ma quel benedetto zio Cassiano non tornerà più chi sa fin quando, e la curiosità mi punge da tutte le parti. Infine non è roba dello zio, ma dei poveri morti, ch'egli ha comperata all'asta d'un marchese fallito.... sicchè.... - (Dopo aver studiato il viso de' suoi uditori, domanda loro un consiglio) Che ne dite? devo.... aprire? (aspetta che qualcuno risponda e poi si rivolge a qualche bambina) Sentiamo un po' da te, piccina. Devo girare la chiave...? - trae, e scattata la molla.... (gira la chiave, apre, guarda nel cofanetto con grande ansietà) Oh.... oh.... bello! oh se vedeste! E che buon odore di sandalo! Lo zio Cassiano non sa nemmeno d'avere questo tesoro. È la volta che divento ladra anch'io. Un magnifico collier di corallo.... un diadema di brillanti.... un medaglione miniato col ritratto d'una bella signora, pettinata col tuppè, coi gonfioni al braccio, colla vita fatta a V maiuscolo. Come ti chiamavi, bella signora? donna Flaminia? donna Rosaura? marchesa? contessa? Sei tu che ballavi il minuetto con quelle belle scarpette? E ora dove sei? Quando si pensa che di lei non c'è più nulla, vien quasi un po' di malinconia, Dev'essere un gran dispiacere di dover morire quando si possiede un collier come questo.... (frugando trova una lettera). To', to', che c'è? una carta vecchia, scrittura vecchia, con un suggello che porta ancora uno stemma: aquila nella torre. E che cosa c'è sulla soprascritta? (accosta la lettera al lume e legge con qualche stento): "Chiunque tu sia che truovi questa lettera, se vuoi che l'anima mia abbia pace, non leggere, ardi subbito senza rompere questo sugiello." (Con tono di grande meraviglia) È una cosa nuova, strabiliante. La mano e anche l'ortografia dice che chi ha scritto qui, non è più tra i vivi da un pezzo. Qual segreto può rinchiudere questa lettera che giace forse da duecento anni in questo cofanetto? Non solo è morta la donna che ha scritto - perchè certo è una donna - ma son morti a quest'ora i suoi figli e i figli dei suoi figli. Se la povera anima non ha trovata la pace In questi duecent'anni, non la trova più. In duecent'anni di purgatorio c'è tempo di purgarne di peccati! (agitata tra il fare o il non fare) Ci vuole una bella virtù a non rompere.... a non darci una sbirciatina.... - (ficca l'occhio nelle pieghe della carta: osserva la lettera attraverso il lume della candela) Forse c'è dentro il segreto d'una storia meravigliosa: forse.... c'è la traccia d'un tesoro nascosto, (passeggia in proda a viva agitazione). Se ci fosse quel benedetto zio Cassiano!... E d'altra parte la volontà dei morti va rispettata.... Ma lo scritto dice: Ardi subito.... - Dunque per dar la pace alla pover'anima, non solo io non devo leggere nulla di quel che è scritto qui dentro, ma dovrei mettere subito questa lettera sulla fiamma della candela o abbruciarla fino all'ultimo pezzetto.... (accosta la lettera, alla fiamma e resta un istante a spiare e a studiare l'espressione de' suoi uditori). Che mi consiglia di fare quella signora laggiù? (rivolgendosi con prontezza a una spettatrice) Devo abbruciare? (cercherà di provocare una risposta). E quel bravo signore che cosa farebbe ne' miei panni? aprirebbe? E questa bambina che mi dice di fare? aprire? bruciare? (passeggia per la camera in preda a una grande inquietudine). Già, io sento che se non do un'occhiatina qua dentro, finirò col fare una grande malattia e non avrò più pace per tutta la vita. Dunque son due anime in pena e tra le due non esito a scegliere. Io apro..... - (sta per rompere il suggello, ma poi è trattenuta da un ultimo rimorso) E poi? E se la povera anima venisse stanotte a tirarmi pel piedi? No,è meglio che abbruci.... e amen, (interrogando il pubblico, mentre avvicina la lettera alle fiamme) Abbrucio? (dopo una pausa durante la quale cercherà di provocare di nuovo collo sguardo le risposte degli uditori) Se ci fosse qui quel benedetto uomo! Ma d'altra parte potrebbe darsi il caso ch'egli fosse più indiscreto di me. Forse non solo leggerebbe, lui, ma farebbe leggere la lettera agli amici, la farebbe stampare, mentre io, cara contessa, (parlando allo scritto) se permetti, do un'occhiatina discreta discreta, poi metto il foglio sulla fiamma e il tuo segreto resta sepolto qui nel mio cuore come in un sepolcro. Me lo permetti? Di' di sì. Stasera aggiungerò un requiem per il riposo dell'anima tua. - (Con uno scatto quasi involontario rompe il suggello) È fatta. Povera me! Mi par di aver commesso un grosso peccato, Ma sono ancora a tempo a pentirmi, Leggo o abbrucio? Ah! Io non ne posso più. Perdonami, anima benedetta, ma io non voglio morire per te, (Siede, legge sotto voce con avidità e poi dà in una risata lunga allegra abbandonandosi sulla sedia.) Ah se sapeste quel che è scritto! non indovinate più in cent'anni. Ah contessa birbona e maliziosa! Eran pieni dì spirito questi nostri vecchi. - (Si alza, si fa seria seria, e tolto il lume dal tavolino si avvia per uscire, dicendo con una smorfietta canzonatoria:) Ma io ho promesso di non dir niente a nessuno: dunque bisogna che conservi il segreto, (soffermandosi) Mi rincresce per voi, perchè, proprio, vale la pena di conoscere lo spirito di queste nostre bisnonne maliziose.... (fa ancora qualche passo fin sulla soglia dell'uscio donde si rivolgo ancora al pubblico:) Se fossi sicura di trovare tra voi una persona molto discreta, potrei dirle in un orecchio il gran segreto, (scegliendo una giovinetta della sua età tra le spettatrici:) Potrei fidarmi della signorina? eccole il prezioso scritto.... Ma.... - (con intonarono di grande raccomandazione) per carità.... mi raccomando.... Che nessuno lo vegga, E buona notte a questi signori. (Parte dopo aver consegnata la lettera.) Nella lettera stanno scritti su vecchia carta e in caratteri un po' antiquati i seguenti versi destinati al curiosi: "A chi il suo naso caccia, Nelle faccende altrui Possa il naso allungarsi trenta braccia". LE DUE PETTEGOLE (MONOLOGHI PER GIOVINETTE). La stessa attrice può trasformarsi e recitare entrambi i monologhi. LA PRIMA PETTEGOLA VESTITA DA CONTADINA COL CESTO DELLE UOVA. Viene la Teresa delle ova, mette in terra il suo canestro sotto l'atrio della porta, dove stanno le comari a rattoppare i loro cenci, e comincia a sciogliere lo scilinguagnolo così: Ova, ova fresche, ova delle mie galline, a buon mercato, signori e padroni. Che tempo! lasciate che io ponga in questo cantuccio l'ombrello a sgocciolare, perchè di acqua ne ho veduta e ne ho pigliata tanta ai miei dì, ma questa è acqua nuova, non mai vista, a troppo buon mercato, come lo mie ova, ova.... ova! ne vuole la sora Carolina? lei ne può rompere sedici dozzine tutte di fila o se ne trova una che sbaglia mi ripiglio indietro anche i gusci, un soldo l'uno. Che vita andare per lo strade con questi tempacci! Ho trovato poco fa la sora Palmira, la moglie dell'oste del Ginepro che tornava da un funerale, bagnata e gelata come un'anguilla. È morta una sua cognata colla quale non andava d'accordo, Finchè era viva lo avrebbe cavato gli occhi, ma adesso che è morta si può fingere di piangere. Dio ha inventato lo cipolle per qualche cosa. Venti soldi la dozzina, o che le paiono care. E come vien grassa la sora Palmira! si vede che agli avventori dà ossa e scaglie e lei si mangia le polpe. Del resto io non invidio i grassi! Piuttosto che scoppiare nei vestiti, preferirei, con licenza parlando, di essere magra come il manico della scopa. Il mondo, dice sempre don Mansueto, è dei magri. Chi? Non conoscono quel pretino magro, bianco, secco come un merluzzo, che dice l'ultima messa al Carmine? È un santerello, un ladro del paradiso, un po' avaro, come in generale lo sono tutti i vecchi, e non si può dire che la sua porta sia lo sportello della carità e dell'abbondanza. Però un buon prete in fondo, quantunque ieri abbia voluto darmi soltanto sei quattrini per ova. Applicherò una messa ai vostri poveri morti.... mi disse: Grazie tante, i morti staranno allegri, ma io ho pagato le mie ova quattro soldi ogni tre al mercato e bisogna pure che mi comperi le scarpe che consumo, dico bene? So anch'io che sono care quest'anno le ova: ma di chi la colpa? non le faccio io le ova, va bene, padrone mie? Ognuno si regoli secondo il caso: chi non può mangiare polpette, mangi polenta, o bella. Tutto sta nel fare il passo secondo la gamba, e non come fa la mia padrona di casa.... la conoscete? La sora Venerona, la macellaia, per quattro quattrini che suo marito ha guadagnato vendendo cavallo vecchio per vitello, si crede diventata addirittura una contessa. Se m'incontra ha schifo a salutarmi, e dire che abbiamo lavato i cenci sporchi nella medesima acqua. Soffia, soffia per cinquanta, tutta vestita di seta, gonfia come un pavone, parata d'oro e d'argento come la madonna di S. Celso. Quando passa lascia indietro un puzzo di biscia morta che dicono buono, ma a me fa starnutare. Ma chi gallina nasce convien che raspi, e questa può vestirsi da regina di tarocco, che sarà sempre la macellaia del Cordusio. Ciacun a sa plass, dicono i francesi e proprio non c'è nulla che mi faccia tanto ridere come vedere un'oca che suoni il violino, o un bue che balla la contraddanza. Ah! ah! ah! (ride a più non posso). Ova fresche di ieri.... Le guardi attraverso alla luce, cara sora Veneranda. Non ho mai dato ad intendere lucciole per lanterne, come certe mie amiche che mettono i denari alla cassa di risparmio e si fanno dei carichi di coscienza. Povera, ma onesta, ecco la bandiera della Teresa! Capisco che la gente ride a sentir parlare di coscienza. È il progresso che ha portato il vapore, il telegrafo, la luce elettrica, e porta anche il diavolo, la gola, i vizi e l'irreligione. Lo diceva anche ieri il predicatore, che ha parlato contro certe donne che affettano di non credere in nulla e fanno lo spirito forte (come per esempio la nostra cara maestrina, che non s'inginocchia nemmeno all'elevazione. Begli insegnamenti che darà alle sue scolare!) LA SECONDA PETTEGOLA VESTITA DA SIGNORINA. Un salotto elegante. Hai sentito Bice? La Chiarina si marita, sposa un professore. Ecco, non per superbia, ma io un professore poi non l'avrei mai sposato. Pazienza un medico, un avvocato, un ingegnere, un negoziante, un ufficiale, ma.... un pedante! un uomo imbottito di acciocchè, di avvegnachè, di punti e virgole.... abituato a trovare sempre la parola impropria e l'espressione poco chiara. Eppure Chiarina se lo sposa il suo Comecchessia (a scuola lo chiamavano così) e non credo che si divertirà troppo nel suo ménage in compagnia di un uomo che ha scritto una grammatica. "Chiarina, - mi par di sentirlo, - io t'amo.... verbo regolare della prima coniugazione col congiuntivo in i." Dicono che Ella abbia ventimila lire di dote; è un po' troppo. Suo padre infine ora uno spezialetto di campagna e per quanto olio di ricino abbia potuto vendere non ha potuto mettere insieme una sostanza. Sua madre è figlia della fattora di Casa Andegari, e mammà l'ha conosciuta colla gonnella di cotone e cogli zoccoli sui piedi. Povera Chiarina, è buona come un angelo. È una ragazza che si contenta di poco, che non è mai uscita di casa, semplice, un poco bête, tutta religione e timor di Dio. La felicità è questione di temperamento. Già, io ho dichiarato che preferisco morire monaca piuttosto che sposare un uomo che non sia, tu mi capisci.... il mio ideale. Bella vita che fa la Clementina con quel suo dottore!... Oh sai? la Fanny non va più in collegio e cerca di dare ad intendere che è per ragioni di salute. Ma io so di certo che la povera Clementina naviga in cattive acque. È una personcina elegante, bella, simpatica, e ha sempre amato di fare una certa figura nella società. Suo marito non ha che lo stipendio dell'ospedale, e con quattromila lire all'anno non c'è margine di fare due toilettes d'estate e di ricevere in casa tutti i giovedì con trattamento di thè e bonbons.... Si faccia il thè lungo fin che si vuole, ma il ricevere costa.... Quest'estate ci siamo trovati insieme ai bagni. Dio, che fatua quella Fanny! Il suo divertimento è quello di giocare alla bambola e d'infilare coralli. Io e miss Lucy si rideva, veh, di quella pecorina.... che se si vestisse meglio e non di verde, potrebbe essere anche una bella figurina, ma il buon gusto non è la prerogativa di casa Ballini. Si stenta a trovare quel non so che di fino e di aristocratico che tu, per esempio, hai sempre indosso. È mirabile come con un nonnulla, con un fronzolo di pochi centesimi tu sai trovare la linea.... Questo tuo vestito pare uscito dalle mani della Chaillon e scommetto che l'hai fatto tu.... Figuriamoci! io non saprei tagliare il grembiale della bambola di Fanny, mamma dice che non ne ho bisogno.... Meglio, così non ho il rimorso di rubare il mestiere alla povera gente. Oh cielo, com'è tardi! Avevo tante cose da dirti, ma con te il tempo passa come un lampo. Ci vediamo stassera? Sai, sans gêne, anche così.... Col tuo vestito. Si fa della musica, si piglia un thè (meno lungo forse che in casa Ballini) e ti assicuro che Fanny non canterà una romanza.... Ah Bice! se la sentissi.... Se io avessi una voce come quella di Fanny, piuttosto che cantare in un salon preferirei, sto per dire.... sposare un professore. Me ne vado prima che tu dica che sono una pettegola. UN UOMO AMANTE DEL QUIETO VIVERE (SCHERZO IN UN ATTO PER GIOVINETTI). ATTORI. DON TRANQUILLO, signore sulla quarantina tra il linfatico e il bilioso. DON IPPOLITO, suo cognato, deputato al Parlamento, carattere attivo e pieno di buon senso. IL PITTORE. MELCHISEDECCO, servitore, ragazzetto non troppo furbo e non troppo svelto. Avvertenze per la rappresentazione. La scena è lo studio di Don Tranquillo, cioè un salotto con un unico ingresso e una finestra. C'è anche un caminetto nascosto da un telajo. Oltre ai mobili soliti d'uno studio (scrivania, libreria, libri. sedie, ecc.) occorre un'ampia poltrona a bracciuoli con cuscini. Lo scherzo è ordito in modo che la rappresentazione si può fare in un angolo d'una sala grande, basta determinare la scena con qualche paravento opportunamente collocato. Occorre anche un campanello elettrico, il bottone del quale si finge collocato a fianco del caminetto, un poco in basso, per la ragione che si vedrà. Nella stanza vicina al teatro devono essere pronte alcune persone per eseguire tutti gli atti e i frastuoni delle ultime scene. NB. Con pochi mutamenti il personaggio di Don Ippolito può esser trasformato con vantaggio in quello di Donna Teresa, moglie di Don Tranquillo. SCENA PRIMA. DON TRANQUILLO, poi il SERVO. DON TRANQUILLO. vestito in abito nero da gala, con guanti chiari o cappello a tuba entra agitando un parapioggia grondante. Mentre asciuga i piedi nella stuoia, grida: Melchisedecco, Melchisedecco, dovo sei? Bel divertimento, proprio! un gusto matto! E lo chiamano progresso! Melchisedecco! Viene avanti, IL SERVO entra correndo Eccomi, signor conte. DON TRANQUILLO. To', prendi, aprilo.... Consegna l'ombrello. Chiudi l'uscio. IL SERVO. spiega l'ombrello e sta per collocarlo in un angolo. DON TRANQUILLO. che passeggia tutto stizzito. Chiudi, ti dico. IL SERVO. intende che debba chiudere l'ombrello. Ah, scusi, aveva capito d'aprirlo.... Chiude l'ombrello. DON TRANQUILLO. Chiudi l'uscio, ti dico. IL SERVO. Ah l'uscio.... Coll'ombrello sotto il braccio corre a chiudere l'uscio. DON TRANQUILLO. E ora, apri bene le orecchie o ascolta quello che ti dico. IL SERVO. torna correndo presso il padrone. DON TRANQUILLO. Che ne fai di questo ombrello? Mettilo giù. IL SERVO. torna c.s. a collocare l'ombrello in un cantuccio. DON TRANQUILLO. Aperto.... IL SERVO eseguisce. DON TRANQUILLO. Senti dunque. Hai aperto.... IL SERVO interrompendo. Sissignore.... indica l'ombrello. DON TRANQUILLO. Dico se hai aperto le orecchie? IL SERVO. confuso porta macchinalmente lo mani alle orecchie come se facesse l'atto di aprirle. Sissignore. DON TRANQUILLO. Bene, ascolta. Venisse anche il papa, venisse anche l'imperatore di tutte le Russie, guarda che non voglio essere più seccato. IL SERVO. Sissignore. DON TRANQUILLO. Dammi ora la mia veste di flanella. IL SERVO. va per pigliarla, ma il padrone lo chiama indietro. DON TRANQUILLO. Vieni qua, prima aiutami a levare questi guanti che mi fanno nascere le formicole nel sangue. Colloca il cappello nuovo sulla sedia dietro il servo che tira le punte del guanto. Battono due colpi nell'uscio. IL SERVO. Hanno picchiato. Vorrebbe correre ad aprire, ma il padrone lo arresta per una falda della livrea. DON TRANQUILLO. Fermati! Alzando la voce. Chi è? che un galantuomo non possa vivere un momento in santa pace? UNA VOCE DI DENTRO. Signor conte, c'è quel vecchio pittore che si raccomanda alla sua carità. DON TRANQUILLO. Anche i pittori adesso. Ho dato duecento lire al piovano perchè soccorra i bisognosi, Vada da lui.... quasi pentito della sua durezza o torni un altro momento. Più aspro. Non potete intanto dargli da colazione? Continuando da sè. Più un uomo è amante del suo quieto vivere e più si direbbe che la gente abbia gusto di tormentarlo. Adesso levami anche questo. Porge l'altra mano al servo che tira rovesciando il guanto. DON TRANQUILLO. asciugandosi la fronte e contorcendosi. Son bagnato di sopra e di sotto, stretto, strozzato nell'amido, soffocato dal colletto, intricato nelle maniche.... Tira. IL SERVO. nel dar l'ultima strappata al guanto perdo l'equilibrio e va a sedere sul cilindro del padrone. DON TRANQUILLO fuori di sè. Asinaccio.... va a spaccar della legna. IL SERVO piagnucolando. Ho creduto che fosse una sedia. DON TRANQUILLO. alzando i pugni. Meriteresti.... A un tratto muta tono o si rabbonisce. Ma non voglio arrabbiarmi, voglio essere filosofo a vostro dispetto. La prima e più sicura pace, ha detto un sapiente, è quella che viene da noi stessi. Io dirò dunque, per non guastarmi il sangue, coll'antico Epitetto: "Se il tuo servo sederà sul tuo cappello e lo schiaccerà, non meravigliarti. Non sapevi tu, uomo ragionevole, che il tuo cappello è di feltro e che il tuo servo è un balordo?" - Alzati, libellula, e va a pigliare la mia veste di camera. IL SERVO. si alza con un senso di paura. DON TRANQUILLO. Prende il cappello schiacciato, lo contempla un istante e mentre lo colloca sulla scrivania dice con serenità filosofica: Fragilità delle umane cose. IL SERVO tra sè. M'è capitato un bell'originale. DON TRANQUILLO. nell'atto di togliersi la giubba. Aiutami a levare questo panno mortuario. Si slaccia il colletto, infila la veste, mette al collo un fazzoletto di seta. Dammi il mio berretto di lana. IL SERVO eseguisce in fretta. DON TRANQUILLO. Guarda se trovi la mia tabacchiera. IL SERVO. fa un giro intorno alla scrivania. DON TRANQUILLO. sentendosi volontà di starnutare si palpa indosso. Il fazzoletto da naso, presto prest.... Starnuta. IL SERVO corre col fazzoletto saltando sopra l'ombrello. DON TRANQUILLO. E ora.... con calma portami le pantofole. IL SERVO nell'uscire. Fortuna che è un uomo amante del quieto vivere; Dio mi salvi dai padroni furiosi! SCENA SECONDA. Monologo di DON TRANQUILLO. Si accomoda prima la veste indosso, fa un nodo al fazzoletto del collo, si schiaccia in testa la callotta, piglia un pizzico di tabacco, e con tono di filosofo rassegnato comincia: Proprio un bel divertimento! crescentino era un paesetto quieto, solitario, quasi perduto in mezzo ai boschi, di costumi pastorali e semplici, dove un galantuomo amante del quieto vivere poteva sperare di trovare un vero e perfetto riposo nel seno innocente della natura. Crescentino era un'oasi in mezzo a questo arido deserto che si chiama il mondo degli intrighi, dei pettegolezzi, degli affari, delle invidie, delle ambizioni, dove io venivo tutti gli anni in questa mia villa a rifarmi lo spirito nella contemplazione di queste praterie belle, verdi, fiorite, le farà quasi vedere col gesto dove non odi che il gorgoglio dei ruscelli, qualche gorgheggio o cip cip d'uccellino, e il dlen, dlen, dlen.... con voce delicata degli armenti pascolanti.... Rimane un istante come beato in contemplazione. Ma era scritto che doveva spuntare anche per Crescentino il giorno del progresso. Mio cognato Ippolito, deputato. consigliere, segretario, tre o quattro volte cavaliere, uomo omnibus, venuto un giorno a far colazione da noi, scoprì che a Crescentino non c'era nemmeno una strada ferrata e una stazione. Affrettando il discorso. Presto, presto, carta, penna e calamaio, scriviamo una petizione al Consiglio di Stato, un'altra al Parlamento, si aprono sottoscrizioni d'azionisti; si facciano subito i rilievi, ed ecco arrivato il beatissimo giorno della inaugurazione.... S'invitano le autorità, la banda, ed il clero e cim e cim andiamo ad inaugurare il progresso di Crescentino.... Oh! un bel gusto: alzarsi presto, infilare l'abito a coda, i guanti chiari, metter tanto di cravattino bianco, per rimanere poi due ore e mezzo sotto la pioggia esposti ai colpi del vento, coi piedi nel fango, in mezzo ai villani che ti pigiano, ti urtano, ti ammaccano le costole e tutto ciò per il profitto di.... di.... di.... starnuta di prendere un bel raffreddore.... Chiamando verso l'uscio. Melchisedecco, le mie pantofole! ....un raffreddore e forse anche una bron.... bron.... tossisce bronchite e tutto questo per il piacere d'intendere il signor vice - prefetto a proclamare il progresso economico delle nostre castagne. Bah! ne troveremo sette per guscio adesso.... e c'è della gente che si diverte! Povera umanità! Se Crescentino era prima un paesello simpatico ed idilliaco come un'egloga virgiliana, adesso colle sue quattro corse al giorno di arrivo e quattro corse di partenza, coi treni merce, gli espressi, gli straordinari, ecc., è un paesaccio come tutti gli altri. Anche quelle poche quaglie scapperanno via. La mattina non avrai ancora aperti gli occhi che sentirai fiiii imita il fischio di qui, poi di nuovo fiiii di là, poi dlen dlen, dlen dlen, dlen dlen con voce aspra e poi ciuff.... ciuff.... bum.... bum.... La sera lo stesso; affrettando il discorso starai per chiudere gli occhi quando di nuovo.... fiiii.... dlen, dlen, dlen.... perepèè bum, bum.... La domenica sarà un andare e venire di villani e di borghesucci festajoli c. s. che prima stavano a casa loro a rosicchiare castagne; d'autunno sarà una persecuzione di visite nojose, tutta gente che prima si contentava di scrivere e che adesso vorrà approfittare di questa comodità per riempirti la casa, per.... Forte. E queste pantofole? Per me son dell'opinione del Chinesi, che dopo averlo provate le hanno strappate tutte le ferrovie. Gran paese la China! Vorrei anch'io poter innalzare una gran muraglia di porcellana intorno alla mia casa per tener lontani questi nuovi barbari del progresso. Mio cognato è di questi. Egli farebbe una strada ferrata anche sotto il tuo letto. E mia moglie gli va dietro, si scalda la testa e per qualche libro francese che ha letto, per qualche elogio che le hanno fatto i giornali, crede d'essere la regina Teodolinda. - Melchisedecco, lumaca. Mia moglie vorrebbe che anch'io mi agitassi, mi scalmanassi, mi facessi portare candidato in qualche cosa.... Io! pazienza benedetta! non mi fido nemmeno degli asini che mi portano e devo farmi portare dagli elettori! Se è necessario soccorrere il poverello e far del bene al popolo, eccovi la mia borsa, pigliatevi pure un pezzo della mia terra, fabbricatevi pure scuole, asili, ospedali.... con rilievo manicomi, fin che volete. Se vi son lagrime da asciugare pigliatevi pure tutti i miei fazzoletti o anche qualche lenzuolo, ma per carità, non mi seccate con idee incomode e ambiziose. Mol....chi....sedecco! lumacone. SCENA TERZA. DON TRANQUILLO, il SERVO. IL SERVO. rientra correndo colle pantofole in mano. DON TRANQUILLO. E non ti basta di avere un nome lungo come il serpente boa che tu voglia essere lungo anche a servirmi? IL SERVO. Non sono ancora molto pratico della casa. DON TRANQUILLO tra sè. Ha fatto molto male a morire il povero Anselmo. Al servo. Animo, tirami fuori queste scarpe che sembrano due spugne. Siede sulla poltrona e alza una gamba, Il servo nel tirare la scarpa trascinerà un poco anche il padrone e la poltrona sulle ruote. IL SERVO. La signora contessa mi ha detto di dirle.... DON TRANQUILLO. Che cosa ti ha detto di dirmi? Una nuova seccatura? IL SERVO. Se deve invitare al pranzo degli ufficiali anche l'organista. DON TRANQUILLO. Tu vuoi dire al pranzo ufficiale. Dille che lo inviti pure. Per me son già malato d'indigestione. Anzi, aspetta; intanto che sono a tempo, scriveremo a buon conto a donna Teresa un bel bigliettino, come, qualmente.... Con un piede in una pantofola e l'altro calzato va alla scrivania e piglia la penna. "Cara Teresa, per tua regola e norma io sono morto. Di' a tutti questi bravi signori, che mi dispiace tanto, ma non posso prendere parte alla nobile festa del progresso, perchè...." S'interrompe e pensa Che cosa devo dirle? se mi dò per malato mia moglie mi manda qui tutti i medici del Circondario. Ne ho riconosciuti tre nella folla.... E d'altra parte non ho proprio voglia di fare il grande cerimoniere.... Seguendo il filo de' suoi pensieri, si alza e viene più innanzi simulando una specie di ricevimento. È un mestiere abbastanza nojoso quello del padron di casa in queste circostanze. Ti piantano sulla porta o mentre gli altri mangiano i tuoi sandwiches e bevono il tuo Marsala, tu devi fare riverenze a destra, riverenze a sinistra, salutare, chieder scusa, ringraziare, e non sai di che e perchè.... - Oh troppo onore! prego, prego, restino serviti. - Commendatore, anche lei? io sono mortificato. - Caro direttore generale! Avvocato, mi rallegro, ho letto il suo articolo sullo Scarafaggio.... Chi vedo, anche la baronessa Struzzi - Merluzzi.... Io son commosso.... Posso servirla in qualche cosa? un caffè, una tazza di birra? un sorbetto? un catino per la barba? uno scaldaletto? presto, Martino, Gaspare, Melchiorre, Baldassare, Melchisedecco.... IL SERVO. Durante la scena era rimasto in piedi colla scarpa nelle mani, cogli occhi in aria. Sentendo il suo nome, si scuote da una specie di sogno e grida: Comandi. DON TRANQUILLO. Che fai lì con una scarpa in mano? IL SERVO. Aspetto l'altra. DON TRANQUILLO. Hai detto alla signora Contessa ciò che ti ho detto di dirle? IL SERVO. Il signor conte non mi ha detto nulla da dire alla signora contessa. DON TRANQUILLO stizzoso. Va a dirle dunque che t'ho detto di dirle che non posso salutare e ricevere quei signori, perchè.... cercando un pretesto perchè sono in pantofola. SCENA QUARTA. DON TRANQUILLO, DON IPPOLITO, il SERVO DON IPPOLITO dal di fuori. Don Tranquillo, siete qui? DON TRANQUILLO spaventato. Misericordia, mio cognato. DON IPPOLITO c. s. Perchè vi siete chiuso dentro? vi sentite male? DON TRANQUILLO. No, scusate, adesso vengo.... Al servo, sottovoce, Presto, tira avanti la poltrona.... IL SERVO. mette la scarpa sotto il braccio e spinge la poltrona verso il caminetto. DON TRANQUILLO sottovoce. Ora dammi il mio bastone. IL SERVO porta il bastone. DON TRANQUILLO. zoppicando, come se avesse male al piede. Togli quel brutto ombrello. IL SERVO. piega l'ombrello e va per aprire. DON TRANQUILLO stizzoso. Melchisedecco. Lo richiama. IL SERVO. colla scarpa e l'ombrello sotto i bracci torna indietro. DON TRANQUILLO. Mettimi un cuscino in terra. IL SERVO nel prendere il cuscino lascia cadere l'ombrello in terra. DON TRANQUILLO stizzoso. Presto, serpente boa.... e ora sta attento. Lo afferra per un braccio. Vedi tu questo piede? Siede, mette il piede sul cuscino. IL SERVO. Sissignore. DON TRANQUILLO. Dirai a tutti che mi son fatto male. IL SERVO compassionando. O povero padr.... DON TRANQUILLO. Sta zitto. Dirai che un asino poco fa nella folla ci ha camminato su. IL SERVO. Sissignore. DON TRANQUILLO. Lo dirai anche alla Contessa. IL SERVO. Un asino, sissignore, anche alla Contessa. DON TRANQUILLO. E che faccia le mie scuse.... IL SERVO mezzo stordito. All'asino, sissignore. Nell'uscire. Intanto l'asino sono io. DON TRANQUILLO. Apri, fa presto.... Tra sè. È scritto nel libro del mio destino ch'io non abbia mai da avere un minuto di riposo. Un'altra volta voglio nascere frate. Ma fingeremo d'aver un piede ammaccato.... SCENA QUINTA. DON IPPOLITO e DON TRANQUILLO. DON IPPOLITO entrando. Si può venire? DON TRANQUILLO. Don Ippolito, venite pure. DON IPPOLITO. raccoglie l'ombrello caduto in terra e lo colloca in un cantuccio. Mi rincresce disturbarvi, Vostra moglie vi cerca per mare e per terra, caro don Tranquillo, Ha cento cose da dimandarvi. DON TRANQUILLO. A me basta questo piede da grattare. DON IPPOLITO. Che ci avete fatto a quel piede? DON TRANQUILLO. Non sapete! poco fa, laggiù, nella folla, una bestia ferrata l'ha creduto un ciottolo.... e paf! sicuro.... Un male, vi dico, che fa vedere tutte le stelle come un telescopio. DON IPPOLITO con interesse. O diavolo, vi siete fatto molto male? Lasciate vedere. DON TRANQUILLO. Ahi ah! non toccate.... La bestia dalle lunghe orecchie ha voluto vendicarsi. DON IPPOLITO. Perchè vendicarsi? DON TRANQUILLO. Ora che hanno fatta la ferrovia ci sarà meno lavoro per lei; e poichè si sa che anch'io sono azionista.... ahi! ahi! DON IPPOLITO. Volete che faccia venire il dottor Cerotti? è qui. DON TRANQUILLO. No, no, è quasi passato: è una semplice contusione. Vedete la differenza, cognato mio, tra noi; io li porto gli asini, e voi.... vi fate portare. DON IPPOLITO. Pare che il vostro piede non v'impedisca di fare dello spirito. Comincio quasi a dubitare che sia un male, dirò così, diplomatico. DON TRANQUILLO. Pigliatelo come volete, ma non toglietemi alle mie pantofole. DON IPPOLITO. E se invece io vi pregassi d'un piccolo sacrificio? DON TRANQUILLO. Volete che io sottoscriva ancora diecimila lire per una strada ferrata nelle nuvole? DON IPPOLITO. Vi ringrazio: nelle nuvole ci si va anche senza strade. Vengo a darvi la bella notizia che avremo tra i nostri invitati anche il Segretario generale del Ministero dei Lavori Pubblici. DON TRANQUILLO. Davvero? è un onore che mi fa dolere anche l'altro piede. DON IPPOLITO. Io devo molta gratitudine al Segretario generale perchè, si può dire, è merito suo se Crescentino oggi ha una strada ferrata. DON TRANQUILLO. Davvero? se mi capita nelle mani sta fresco. DON IPPOLITO. Egli viene apposta per voi. DON TRANQUILLO. Per me? io non ho strada in aria. DON IPPOLITO. Nella mia molto specificata relazione al Ministero, intorno all'esecuzione di questo nuovo tronco che allaccia Crescentino coi principali centri industriali dell'Alta Italia.... DON TRANQUILLO brontolando. E colla casa del diavolo.... DON IPPOLITO seguitando. ....insieme ai sacrifici compiuti dai diversi comuni ho dovuto naturalmente tener conto delle offerte dei privati e specialmente di quelle date a premio perduto. Quindi il vostro nome figura primo nella lista. DON TRANQUILLO. Dovevate dire ch'è stata mia moglie. DON IPPOLITO. O voi o vostra moglie poco importa nel caso nostro. Il fatto è questo: che Sua Eccellenza il Ministro, sensibile come sempre per tutti coloro che cooperano direttamente o indirettamente alla prosperità e al miglioramento morale e materiale del paese, ha preso nota della mia relazione e con rilievo vi manda oggi per mano del suo Segretario generale le insegne di cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro.... DON TRANQUILLO. Ahi! ahi! queste sono pugnalate al cuore d'un galantuomo che ama il suo quieto vivere. Caro cognato, e non potreste pigliarle voi queste insegne? DON IPPOLITO ridendo. Vi farei volentieri questo piacere se potessi. DON TRANQUILLO. E perchè non potete? DON IPPOLITO. Son già cavaliere. DON TRANQUILLO. Guarda che disgrazia! anche questa mi doveva capitare quest'oggi. DON IPPOLITO. Io capisco, caro cognato, che un uomo possa amare il suo quieto vivere; ma ci sono dei doveri sociali, ai quali un buon cittadino non può sottrarsi senza incorrere nel biasimo delle persone oneste. DON TRANQUILLO. Tra i doveri del buon cittadino mettete anche quello di lasciarsi crocifiggere? DON IPPOLITO. Capisco la semplicità della vita o dei costumi, ma guardate che questo eccessivo amore al riposo non sia poi in fondo della poltroneria bella e buona. E la poltroneria è sorella dell'egoismo. DON TRANQUILLO. Non è la prima volta che noi disputiamo su questo argomento o pur troppo, come due filosofi di scuole diverse, siam fatti per non intenderci. Voi avete scritto (scusate la mia franchezza), sulla vostra bandiera: Seccare il prossimo come sè stesso. Io invece: Vivere e lasciar vivere. Son due bandiere che possono liberamente sventolare all'aria libera. Io non impedisco che voi conduciate in casa mia non soltanto il Segretario generale, ma anche il Ministro se vi garba, il prefetto, il maresciallo e tutta la guarnigione di terra e di mare, non esclusa l'artiglieria e qualche fregata. Similmente non impedisco a mia moglie d'invitare non solo il sindaco e il segretario comunale, ma anche, se occorre, l'organista, il sagrestano e il facente funzione di vice - campanaro. Ma invoco per me.... un pajo di pantofole. DON IPPOLITO un poco irritato. Nessuno vuol rubarvele le vostre pantofole. DON TRANQUILLO. Ma non posso ricevere quei bravi signori in questo arnese. DON IPPOLITO c. s. Non vi manca nemmeno un pajo di scarpe. DON TRANQUILLO più eccitato. Mi manca la volontà di metterle. DON IPPOLITO c. s. Son cose di convenienza, meno faticose di quel che credete. DON TRANQUILLO. Ho io cercato qualche cosa al signor Ministro? DON IPPOLITO. E allora perchè siete venuto al mondo, se vi seccano tanto gli uomini? DON TRANQUILLO. Ho io domandato al buon Dio che mi mettesse al mondo? DON IPPOLITO stizzosamente. Voi fareste uscire gli usci dai gangheri. DON TRANQUILLO irritato. E voi pure se la mia pazienza non avesse gangheri d'acciaio. DON IPPOLITO. E non vi pare che per troppo amore al vostro quieto vivere facciate vivere molto incomodamente gli altri? DON TRANQUILLO. Lasciatemi nel mio guscio. DON IPPOLITO. Forse che è minor fatica calzare una scarpa, infilare un abito, che fingere la parte di zoppo, tossire e starnutare per forza, inventare bugie e paradossi, tormentare il vostro servo con centomila bisognini e fare innanzi al mondo la figura d'un orso selvatico? DON TRANQUILLO. E aggiungete: ascoltare delle prediche noiose.... DON IPPOLITO. Noblesse oblige. DON TRANQUILLO seguitando. ....con citazioni. DON IPPOLITO. Voi non siete un egoista, no.... DON TRANQUILLO. Meno male. DON IPPOLITO. Il vostro cuore è aperto a tutti i buoni affetti del bene. DON TRANQUILLO con ironia. Grazie! DON IPPOLITO. La vostra mano soccorre e benefica largamente; ma avete un gran torto.... DON TRANQUILLO c. s. Oh, oh! DON IPPOLITO. Invece di lasciar venire da sè quella pace che tien dietro naturalmente ad ogni buona azione, vi affaticate a cercarla dove non c'è.... DON TRANQUILLO. con curiosità e ironia. Dove? DON IPPOLITO. con un senso di sarcasmo. Nelle pantofole. DON TRANQUILLO offeso. Ah cognato! che direste di me s'io vi rinfacciassi tutto quel che penso di voi in questo momento? DON IPPOLITO. Avrei la pazienza d'ascoltarvi e di perdonarvi. DON TRANQUILLO. Credete forse che non vi sia un mestiere più degno di un libero cittadino, di quello di mettere il naso con sarcasmo nelle pantofole altrui!.. DON IPPOLITO. Scusate, non lo farò più. Dirò dunque al Segretario generale che una bestia ferrata.... DON TRANQUILLO. Dite pure un asino. DON IPPOLITO. Come vi piace. Dirò che un asino vi ha morsicato.... Va via con passo risoluto. SCENA SESTA. DON TRANQUILLO solo agitato, fuori di sè, passeggiando in fretta e zoppicando senza accorgersi. Egli ha voluto fare della satira e della morale, egli l'uomo indispensabile, l'uomo omnibus, il seccatore perpetuo, il distillatore del buon senso, il sale, la canfora della virtù. E a un povero uomo non deve essere concesso di vivere a modo suo, in casa sua, no, no.... Lancia lontano il bastone. Abbiamo fatto il quarantotto, il cinquantanove, il sessanta per conquistare questa santa libertà stringe tra le due mani la callotta e sono questi signori liberaloni, che non permettono a un galantuomo di morire senza la croce di cavaliere. No, ci deve essere una croce prima di morire e una croce dopo sul tuo povero corpo.... Butta in alto la callotta. Scalmanato. Melchisedecco! Mi sento già la febbre addosso, son rauco, ho freddo; ma no, miserabile, tu non hai più diritto di avere i polmoni in disordine, di tossire e di star.... star.... Starnuta forte. I tuoi polmoni sono proprietà del ministro dei lavori pubblici, e il tuo stomaco è una assicella per l'esposizione delle decorazioni e delle Grazie Ricevute. È un'infamia, un'ignominia, una barbarie che l'eguale non si è data nemmeno ai tempi dei Goti, degli Ostrogoti, dei Visigoti, Colla voce più rauca. Melchidesecco! (Nota bene l'errore). Pigliando la giubba nera dalla sedia. Volete decorare il mio palandrone? pigliatelo! Getta il vestito contro l'uscio. Pigliatevi anche la mia pelle e fatene il tamburo del progresso. Più rauco ancora. Melsichedecco! visigoto. Cercando intorno. Non c'è più nemmeno un campanello! Una volta c'era un cordone qui.... Melsidechecco! sei qui, visigoto? SCENA SETTIMA. DON TRANQUILLO e il PITTORE. IL PITTORE. È un vecchio malvestito, con una barba lunga e un'aria di mattoide. Ha sotto il braccio una cartella. Parla con voce flebile, riscaldandosi di tempo in tempo fino all'entusiasmo. Sarei un uomo tinto della più nera ingratitudine se io partissi da questa casa senza aver baciata la mano del mio generoso benefattore.... DON TRANQUILLO. Lo guarda un momento. Di che cosa? chi siete? che cosa volete? IL PITTORE. Io sono quel vecchio pittore, Agenore Mangiastoppa, al quale la Signoria Vostra Illustrissima ha fatto avere un sussidio. DON TRANQUILLO. Andate alla parrocchia, non mi seccate.... IL PITTORE. Sono già stato. Bastò ch'io pronunciassi il nome della Signoria Vostra Illustrissima perchè ottenessi un largo sussidio a' miei bisogni non solo, ma la commissione di una Via Crucis.... DON TRANQUILLO. tra il dolce e il brusco. Bene, mi rallegro: andate in santa pace.... IL PITTORE. No, io sarei un uomo tinto della più nera ingratitudine se partissi da questi luoghi senza aver baciato almeno il lembo del mantello di colui che mi ha salvato dall'abbiezione.... DON TRANQUILLO. Scusate, ho gente, ho molto da fare.... IL PITTORE. riscaldandosi nel discorso. Non è vero che il mondo sia popolato soltanto di serpi invidiosi e di ipocriti coccodrilli. V'è ancora qualche essere degno dell'ammirazione e dell'adorazione dei posteri. DON TRANQUILLO. Vi ringrazio.... A rivederci.... Tra sè. Che peccato quasi di non essere un coccodrillo. IL PITTORE. Non ho voluto partire da questi paesi senza dare prima al mio generoso Mecenate un segno della mia abilità, Comincia a sciogliere i nastri della cartella. Io ero nato per percorrere la strada luminosa della gloria. Fin dagli anni più teneri una voce segreta andava dicendomi: forte Cammina, la tua strada è quella che hanno tracciata prima di te i Raffaelli, i Tiziani, i Michelangieli, i Van Dyck, i Rubens, i Murillo.... ma ahimè! il bisogno, le malattie, il tradimento o la verde Invidia dei maligni mi hanno ridotto a campare quasi di elemosina. Ma in mezzo a tante miserie non è spenta in me la viva scintilla dell'arte, no, no.... e quel giorno ch'io potrò immortalare in un ritratto le sembianze del mio benefattore, quel ritratto sarà per me il monte della gloria. DON TRANQUILLO. Abbandonandosi nella poltrona e sospirando. O divina pazienza! egli comincia da me la sua Via Crucis. IL PITTORE. Io sono nato il 10 agosto 1831 da poveri ma onesti genitori. DON TRANQUILLO. Adesso mi racconta tutta la sua vita. IL PITTORE. Mio padre faceva l'arrotino e mia madre lavava le robe di colore. Di qui la mia vocazione. DON TRANQUILLO. Oh in nome del cielo! non ho tempo di ascoltare queste favole. IL PITTORE. Favole? ah fossero favole, eccellenza! Fosse una favola questo mio viso macilento, questo mio abito logoro, queste mie scarpe che ridono e piangono sul mio destino. Fosse una favola il tradimento che mi hanno fatto nel 1867 quando per una congiura di potenti invidiosi mi fu tolto il premio che il voto unanime del popolo aveva assegnato al mio Trionfo dei Salamini.... Quel giorno che ai miei Salamini, dipinti col più classico stile che uscisse dalla scuola dei Canova e degli Appiani, preferirono uno scarabocchio di un certo Hayez, quel giorno che preso un affilato coltello io feci a pezzi i miei Salamini che mi erano costati un anno di studi.... quel giorno fu l'ultimo della mia vita. Io non sono più un uomo, un artista, un vivo.... Io sono lo scheletro, l'ombra di me stesso.... - Ma anche in questo scheletro palpita il sentimento dell'arte o della riconoscenza, o se la Signoria Vostra illustrissima vuol compiacersi a scorrere questi miei lavorucci.... DON TRANQUILLO tra sè. (Pigliamolo colle buone.) - Potete, Mangiastoppa, lasciarmi quella cartella per qualche giorno? io vedrò, sceglierò, e vi prometto che riconoscerò generosamente i vostri meriti sconosciuti. Questa è la sorte dei genii. Anche Torquato Tasso morì in un ospedale! ma dopo la morte un glorioso tempio accoglie gl'immortali che hanno lasciato dietro di sè la traccia luminosa del loro genio. IL PITTORE entusiasta. Sì, un tempio.... oh fosse vero che io potessi salire i gradini di quel tempio.... DON TRANQUILLO tra sè. Povero diavolo! IL PITTORE. Potessi vedere una parete di quel tempio decorato de' miei Salamini.... voi sapete, Eccellenza, la storia dell'antica vittoria riportata dai Greci contro il re persiano Serse nel golfo di Salamina. DON TRANQUILLO. La so benissimo. Ma io avrei un argomento ancora più grande da suggerire al vostro genio, IL PITTORE. Davvero? DON TRANQUILLO. Quella è storia antica, passata e trapassata e non rappresenta infine che il trionfo della forza materiale: ma accostatevi a quella finestra. Che cosa vedete voi? Ecco lontano una nuova stazione di ferrovia; ecco un viale addobbato a bandiere e una gran tavola preparata. Questa è la festa della pace, dell'industria, del lavoro: questa è la grande vittoria dei Salamini moderni.... IL PITTORE. preso da improvviso entusiasmo. È vero! una nuova via si schiude davanti a me. DON TRANQUILLO. Eccovi la porta, non perdete tempo. Fatemi uno schizzo di questi nuovi Salamini e avrete in me un generoso protettore. IL PITTORE. Io sarei un uomo tinto dalla più nera ingratitudine se tardassi un momento a compiacere alla volontà di un signore che quasi nuovo sole viene a rischiarare la strada della mia gloria. DON TRANQUILLO. Vi ringrazio.... Procura di mandarlo via IL PITTORE. Mi sia intanto concesso di baciare questa mano che mi toglie dal fango. Voi siete per me il mio Leone X. Va via. DON TRANQUILLO. Dio lodato, se ne va. Se rimaneva un poco ancora mi faceva scoppiare come una vescica. - Ora vediamo se ci riesce di stare in pace un momento. Cercando intorno. Una volta qui c'era un campanello. In questa casa non c'è più ordine e chi comanda meno è il padrone. Chiama. Melchisedecco.... SCENA OTTAVA. DON TRANQUILLO e il SERVO. IL SERVO entra in furia. Eccomi. DON TRANQUILLO. Chi ha levato il cordone del mio campanello? IL SERVO. Ella sa: ora c'è il campanello elettrico qui.... Indica il luogo presso il caminetto. DON TRANQUILLO. non volendo ascoltare. Che elettrico! vieni qua. Conosci tu i denari? Toglie dal taschino del panciotto alcune monete. IL SERVO. Un poco.... di vista. DON TRANQUILLO. aprendo il pugno. Quante lire sono queste? IL SERVO conta. Una, due, tre, quattro lire d'argento. DON TRANQUILLO. Piglia, son tue. IL SERVO sorpreso. Mie? DON TRANQUILLO. Tue, a un patto, che tu faccia tutto ciò che ti dico.... IL SERVO. Comandi. A ogni frase del padrone dirà: Sissignore. DON TRANQUILLO. Uscirai. Chiuderai l'uscio con due giri di chiave: metterai la chiave in tasca: senza lasciarti vedere da nessuno andrai all'osteria del Falchetto: e beverai alla salute del tuo padrone, fin che hai un soldo. Non tornerai che quando sarà bujo fatto. IL SERVO. Sissignore. (È un bel matto). DON TRANQUILLO. E se ti chiedono di me, di' pure che ho un febbrone di quaranta gradi. IL SERVO. Sissignore.... e il vino lo bevo rosso o bianco? DON TRANQUILLO. spingendolo verso la porta. Andiamo, to' la chiavetta, va fuori, chiudi.... il servo eseguisce gira la chiave.... un'altra volta.... crac.... Così. Con un sospirone. Ah! vediamo ora chi avrà coraggio d'entrare. Il signor Segretario generale, immagino, non vorrà passare per il buco della chiave. - Per le corna e per la coda del diavolo! bisogna proprio che un uomo si faccia chiudere in casa per salvarsi dalle persecuzioni? Accomodandosi le pieghe della veste. Vediamo ora se ci riesce di leggere una pagina del mio vecchio Virgilio. Siede sulla poltrona e stende le gambe. Benedetta pace! e dire che si sta tanto bene colle gambe distese, tra i suoi libri, colla coscienza tranquilla. Che cerco io agli uomini? lascio loro le locomotive, i telegrafi, i telefoni, le torpedini, la polvere, la dinamite e tutte le diaboliche invenzioni che fanno rumore.... A questo punto risuona nell'interno uno scampanio a festa. DON TRANQUILLO continua. ....le campane.... Si rannicchia nella poltrona e prende un libro, legge forte: "Tityre, tu patulae recubans sub tegmine fagi. "Silvestrem tenui musam.... - Una volta le campane suonavano solamente per i santi, adesso suonano anche per il diavolo. "Silvestrem tenui musam...."* Appoggia un orecchio contro la poltrona. Se si può tornerebbe a tempo un bel colpo di mortaio. DON TRANQUILLO. rivoltandosi nella poltrona. Anche i mortaj! E chiamano questo un far allegria. Risuonano molto grida di evviva. DON TRANQUILLO. Sì, evviva, evviva! Colle cocche del fazzoletto si tura le orecchie e torna a leggere più forte. Seguita lo scampanio. "O Meliboee, Deus nobis haec otia fecit Namque erit ille mihi semper Deus: illius aram. Gridando. Saepe tener nostris ab ovi....li....bus...." Risuona in mezzo agli evviva una banda campestre. DON TRANQUILLO. Buon Dio, perdona loro perchè non sanno quel che suonano. Di legger non c'è maniera. Vediamo so almeno ci riesce di dormire. Colloca una sedia presso il caminetto, e sopra mette un cuscino della poltrona in modo che si appoggi al bottone del campanello elettrico. Accosta un'altra sedia, sulla quale si siede o si sdraia, appoggiando la testa sul cuscino. Il campanello vibra. DON TRANQUILLO alza la testa un momento: il campanello cessa di suonare. Ripone la testa e il campanello torna a vibrare. Prende un altro cuscino, se lo mette sulla faccia. Per un quarto di minuto gli evviva, le campane, la banda, i mortai e il campanello elettrico fanno un chiasso indescrivibile. SCENA NONA. DON TRANQUILLO, VOCI DAL DI FUORI. DON TRANQUILLO. con voce soffocata e piagnucolosa. Quale delitto ho io commesso ne' miei giovani anni, perchè debba scontarlo con questo inferno anticipato? quando ho io strappata la coda a una gallina, un'ala a una mosca, un pelo a un gatto? Ho io forse scritto dei poemi o delle tragedie noiose? ho io fatto mai dei discorsi politici agli elettori, dando loro a intendere lucciole per lanterne? VOCI DALLA STANCA VICINA. Don Tranquillo! - Signor padrone! - Signor conte! - È lei che chiama? - Si sente male? - Apra. VOCE DI DON IPPOLITO. È caduto sulla sedia, gli è venuto male: presto, scassinate l'uscio. Un fabbro, un fabbro. DON TRANQUILLO. balzando in piedi. Si vuole anche scassinare l'uscio! un libero cittadino non è più sicuro nemmeno sotto due giri di chiave? Guerra per guerra! Voi adoperate i vostri grimaldelli, io edificherò le mie barricate. Spinge la poltrona contro la porta: vi ammucchia alcune sedie rovesciate, e sopra vi pianta l'ombrello aperto. La disperazione dei popoli è il castigo dei tiranni. Ma che sento di qua? Verso la finestra. Misericordia! il giardino è pieno di gente d'ogni colore. Tutti corrono verso la casa. Portano una scala. Ecco là il signor segretario, il prefetto, il dottore, mia moglie, il campanaro. Cani barbini! danno la scalata alla finestra. Sta un momento riflettendo, gira gli occhi intorno e trovata l'idea esclama: Ingrata patria tu non mi farai cavaliere. Toglie in fretta il telaio del caminetto e vi si rannicchia dentro, nel momento che DON IPPOLITO, spalancato l'uscio, si affaccia dietro la barricata. SCENA DECIMA. DON TRANQUILLO e DON IPPOLITO. DON IPPOLITO. passando dietro i mobili. Don Tranquillo, dove siete? Cospetto! Egli era qui poco fa e se non è uscito dalla finestra.... Guarda, guarda: sembra la stanza delle streghe dopo la tregenda del sabato. Non si potrebbe essere più amanti dei propri comodi che mettendo le sedie colle gambe in su.... Don Tranquillo, dove vi siete cacciato voi? Nel cassetto, nel calamaio? Guarda dietro la scrivania Il telaio del caminetto si muove: DON TRANQUILLO nascosto dietro cerca di fuggire per la porta; ma trova il passo barricato. Non volendo che DON IPPOLITO si avveda di lui, si ferma appoggiato al muro. I due attori per un momento possono continuare la burla, traendo profitto dalle condizioni della scena. Finalmente DON TRANQUILLO lascia cadere il telaio e si rizza indolenzito col muso nero di fuliggine. DON IPPOLITO. con uno scoppio di risa. Da che parte venite voi, caro cognato? Ah! ah! So di morti che sono usciti dal loro sepolcro, ma di gente nata da un caminetto, proprio non ho mai sentito parlare. O che muso, cognato mio! non avete uno specchio? DON TRANQUILLO. con voce d'uomo sofferente Tacete, nell'andar là sotto ho battuta la testa nel sasso. Mi sento tutto quanto dinoccolato. Colpa vostra! vi avevo pregato di lasciarmi stare. DON IPPOLITO. Voi ci avete fatto un gran spavento col vostro campanello. DON TRANQUILLO. grattandosi e zoppicando. Io non ho suonato campanelli. Va a sedersi sulla sedia presso il caminetto e il campanello vibra. DON IPPOLITO. Sentite? Va verso l'uscio per avvertire i servitori che non c'è bisogno di loro. DON TRANQUILLO. saltando su, butta in terra il cuscino. Anche questo un frutto del progresso! Un pover'uomo non può sedersi senza farlo sapere a tutto il mondo. Se si va innanzi così ci metteranno una locomotiva nella pancia, e un campanello elettrico per orecchio.... Ecco l'uomo dell'avvenire! ma per quel tempo io spero d'essere morto. Con dolce mestizia. O dolce riposo delle tombe! Zoppicando va a prendere una sedia della barricata e la trascina avanti senza accorgersi che manca del cuscino. Il pubblico lo vedrà. Continuando nella sua malinconica querela: Là, due braccia sotto la terra, nessuno ti secca più con sottoscrizioni, e decorazioni, e mortaj, e campane, e campanelli Là puoi stare in pantofole fino al giorno del giudizio, in cui il Signore Iddio ti giudicherà secondo i meriti tuoi. In quel dì io non chiederò al buon Dio che un angolo quieto, tra una nuvola e l'altra, là dove si possa contemplare da lontano e in pace la gloria del Paradiso. Quasi commosso. Per avere quel posticino non mi farebbe nulla di morire stasera e lasciar tutto il mio in elemosina ai poveri.... Quale beatitudine di poter sedersi.... Così dicendo si abbandona sulla sedia e cade nel vuoto del fusto. Grida: Ajuto, ajuto!... SCENA ULTIMA. DON TRANQUILLO, DON IPPOLITO e il SERVO. DON IPPOLITO e il SERVO corrono, E aiutano a tirar fuori DON TRANQUILLO. Il SERVO ha sotto il braccio la scarpa del padrone. DON TRANQUILLO piagnucoloso. O me infelice! DON IPPOLITO. Vi siete fatto male? IL SERVO. Non si spaventi, caro padrone: ho già bevuto alla sua salute. DON TRANQUILLO. zoppicante, sconnesso, con una mano sul capo, l'altra sulla coscia, dice con voce da moribondo: Tacete, conducetemi in letto. Chiamate il notajo. Voglio far testamento. Voglio morire. Il SERVO accompagna via DON TRANQUILLO sorreggendolo. DON IPPOLITO. rimasto un poco indietro, esclama verso il pubblico: Povero uomo, mi fa pietà, Forse egli ha imparato a quest'ora che il miglior modo per riposare è di lavorare e che la pace.... non viene in pantofola. FINE. INDICE. PREFAZIONE La figliuola del diavolo (commedia) Gli anelli d'oro (commedia) Chi non cerca trova (commedia) La curiosità (monologo) Le due pettegole (monologhi) Un uomo amante del quieto vivere (scherzo comico)