Carlo Goldoni I PORTENTOSI EFFETTI DELLA MADRE NATURA Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Teatro Nuovo di S. Samuele l'Autunno dell'Anno 1752. Dedicato a S. E. la Signora Catterina Loredan Mocenigo. ECCELLENZA Questi giocosi Drammi per Musica sono in oggi per tutta l'Italia desiderati, e con piacere intesi, e le persone nobili e colte v'intervengono frequentemente, trovando in essi alla melodia del canto unito il piacere dell'onesto ridicolo, il che forma un divertimento assai più allegro del solito. Spero che anche V. E. vorrà compiacersene, e troverà con che appagare il nobil genio e l'ottimo gusto di cui va adorna; poiché, quantunque i Drammi per Musica, e molto più i Drammi Buffi, opere siano di lor natura imperfette, ingegnato mi sono di render questo meno indegno di essere dalla Nobiltà compatito, e da V. E. principalmente protetto. Offrir veramente sì poco ad una Dama di sì alto merito dovrebbe farmi arrossire, ma so per prova quanto benignamente aggradir tutto vi compiacete se, in occasione delle felicissime vostre nozze, poche mie rozze ottave di accogliere non isdegnaste. Si dirà per altro che io, né al presente, né allora, abbia saputo sollevar la mia Musa per formar opera che degna fosse di Voi. E qual eroico argomento non mi offerivano le vostre nozze, le più cospicue nozze che formar si potessero per gloria, ornamento e consolazione di questa Dominante Repubblica? Agli antichissimi fregi della vostra illustre Famiglia, la quale in ogni età ebbe tutti della Patria gli onori, gloria accresce e decoro il Serenissimo Regnante Doge, vostro amorosissimo Zio paterno, il quale amandovi veramente, uno Sposo vi ha procurato, pari a Voi nell'antichissima nobiltà, nella purezza del sangue, nella ricchezza de' beni, nella qualità degli onori e, quello che importa più, nella uniformità degli affetti, che certamente è il maggior bene di questa terra, bene comune a tutti, egli è vero, ma che forma anche de' Grandi la felicità più perfetta. Sempre più con Voi mi rallegro, Nobilissima Dama, del vostro felicissimo maritaggio. Egli è poi vero ch'eravate due Sposi fatti l'uno per l'altro, e convien dire che, derivando ambidue colle vostre ammirabili Genitrici dal regal sangue della Regina di Cipro, ora vogliano i Fati che in Voi si ricongiungano i sparsi rami, e prole indi ne venga che tutte rinchiuda le virtù e i meriti delle due più cospicue e più gloriose Famiglie. Argomenti sì grandi, de' quai van piene le Storie, certamente animarmi dovevano a cose di più alto peso, e stimolare dovrebbonmi sempre più gl'infiniti obblighi miei verso l'Eccellentissimo vostro Sposo, mio benignissimo protettore; ma io non posso ergermi con più alto volo, perché per una specie, non so s'io dica d'inclinazione o di necessità, avvezzata ho la mia Musa a questa sorta di stile. Qualunque sia per tanto questa operetta mia, la consacro umilmente al nome grande di V. E., e per un testimonio del profondo mio ossequio, e per lusinga che vi degnerete proteggerla, come umilmente vi supplico, non perché essa lo meriti, ma perché Voi solete farlo anche con chi non merita, per effetto di quella bontà di cuore che si fa distinguere tra le infinite vostre Virtù. A questa raccomando ben anche l'umilissima persona mia, e con profondo ossequio m'inchino Di V. E. Venezia li 11 Novembre 1752. Umiliss. Devotiss. Ossequiosiss. Servitore CARLO GOLDONI PERSONAGGI RUGGIERO principe di Maiorica, usurpatore. Il Sig. Francesco Rolfi. LISAURA principessa sua sposa. La Sig. Clementina Spagnuoli Romana. CELIDORO vero principe di Maiorica, sconosciuto. Il Sig. Filippo Laschi, Virtuoso di Camera di S. A. R. il Principe Carlo Duca di Lorena e di Bar ec. ec. ec. CETRONELLA pastorella spiritosa e comoda. La Sig. Serafina Penni. RUSPOLINA altra simile pastorella. La Sig. Agata Ricci. POPONCINO pastore. Il Sig. Bernardo Ciaranfi. DORINA sorella di Celidoro, creduta figlia di Calimone. La Sig. Teresa Alberis. CALIMONE vecchio pastore, servo di Ruggiero, e custode della Torre. Il Sig. Niccola Petri. Cacciatori. Soldati. BALLERINI La Signora Teresa Zambelli. Il Signor Lodovico Ronzio. COMPAGNIA STABILE La Sig. Andriana Sacchi. La Sig. Margherita Falchini. La Sig. Laura Verder. La Sig. Giuditta Falchini. La Sig. Anna Vestri. Il Sig. Antonio Sacchi. Il Sig. Michele Costa. Il Sig. Giovanni Guidetti. Il Sig. Agostino Bologna. Il Sig. Carlo Sabioni. Maestro di Balli il Sig. Francesco Sabioni. MUTAZIONI DI SCENE ATTO PRIMO Campagna con colline e pianure, con una torre antica da un lato. La Scena oscura denota mal tempo, formandosi a poco a poco un temporale con tuoni, baleni e fulmini. Boschetto delizioso coperto d'alberi, che intrecciandosi fra di loro difendono dai raggi del sole, e talora ancor dalla pioggia. Capanna pastorale in pianura. ATTO SECONDO Cortile antico, con fontana ed acquedotti ed archi, da' quali si passa al Palazzo di Ruggiero. Camera della Principessa. Piazza posteriore del Castello, che introduce al Castello medesimo per una breve salita, con ponte levatoio. ATTO TERZO Ritiro grottesco fra' monti con caduta di acquei. Cortile adornato festivamente con archi e trionfi. La Scena si finge in una parte dell'Isola di Maiorica. Le Scene sono del Sig. Gio: Battista Moretti. Il Vestiario è del Sig. N. N. L'abbattimento è direzione del Sig. Domenico Piuzzi detto Vergola. ATTO PRIMO SCENA PRIMA Campagna mista di collina e pianura, con una torre antica da un lato. CETRONELLA, RUSPOLINA, POPONCINO, CALIMONE, Pastori e Pastorelle, sparsi qua e là per la collina e per la pianura, guardando le loro gregge e i loro armenti al pascolo. La Scena oscura denota mal tempo; formandosi a poco a poco un temporale con tuoni, baleni e fulmini. CORO DI PASTORI E PASTORELLE Giove collerico, Trattieni i fulmini; Armenti e pecore Non spaventar. Il cielo è torbido, I venti fremono. Cessate, o pecore, Di pascolar. CAL. Eh fermate, pastori, e non sì tosto, Perché oscurasi il sole e fischia il vento, Vogliate concepir sì gran spavento. Fermate, pastorelle, Non togliete le agnelle alla pastura. Cantate di piacer, non di paura. Al dolce pascolo Le agnelle tenere Nutrir si lascino Senza tremar. CETR. } a due D'amor si cantino Le grazie amabili, D'amor che l'anime Fa giubilar. (tuona e balena) Giove collerico, Trattieni i fulmini; Armenti e pecore Non spaventar. RUSP. CAL. Al dolce pascolo Le agnelle tenere Nutrir si lascino Senza tremar. (crescono i tuoni ed i baleni) PASTORI e PASTORELLE Il cielo è torbido, I venti fremono. Cessate, o pecore, Di pascolar. (Scoppia un tuono gagliardo e tutti fuggono, fuorché Calimone e Poponcino) SCENA SECONDA CALIMONE e POPONCINO POP. Ahimè! CAL. Dove ten vai? POP. Fuggo a drittura, Ché mi sento morir dalla paura. CAL. Hai paura! Di che? Fermati, aspetta. POP. Tremo che non mi colga una saetta. CAL. Dove pensi celarti, Che non possa arrivarti il cielo irato? Quando Giove sdegnato Vuol che un reo sia distrutto, Con i fulmini suoi giunge per tutto. POP. Ma la natura insegna Fuggir quando si può. Qui siam soggetti All'acqua, al vento, ai fulmini, ai baleni; Potremo ritirarci Dentro di quella torre, e ripararci. CAL. Sai pur che colà dentro Ad altri fuor che a me passar non lice. POP. Chi è mai quell'infelice Che là dentro si chiude in quel serraglio, Dove penetra il sol per un spiraglio? CAL. Io soltanto lo so, sol io lo vedo, Io che il cibo gli reco E mi fermo talora a parlar seco. POP. Stupisce ognun che un uomo si rinchiuda Con tanta gelosia, Né si possa saper chi diavol sia. CAL. Misera umanità! Senza sua colpa È quel meschino in prigionia venuto! Per cagion d'un tiranno... POP. Aiuto, aiuto. (Scoppia un fulmine, il quale percuote nella torre, e ne precipita una parte. Poponcino atterrito fugge) SCENA TERZA CALIMONE solo. È stanco il ciel di tollerar l'ingiusta Prigionia del meschino. Ecco il muro atterrato: Ecco il carcere aperto, e Celidoro, Se colpito non l'ha qualche saetta, Or or lo vedo comparirmi in fretta. Se vive, ed esce fuori, Vuol star fresco Ruggiero. Egli è cotanto fiero, Che sapere vorrà quel che finora Gli ho tenuto celato, E vorrà senza dubbio il principato. Or di entrar non mi fido. Andar vogl'io Ad avvisar del fatto Il principe Ruggiero, acciò creduto Falsamente non sia Liberato il prigion per opra mia. Vedrei pur volentieri i primi moti D'un che mai ha veduto Né ciel, né terra, né persona al mondo Fuori di me, sin dalle fasce chiuso, E da ogni ben di questa vita escluso. Leggea sol qualche libro, e allora quando Sentia le donne mentovar, pareva Rallegrato il suo cor dalla lettura, Per opra della gran Madre Natura. Io non sapea parlar, Che principiava amar. Coll'uso di ragion Crescea la mia passion; E adesso in questa età Mi mancano le forze, Ma non la volontà. (parte) SCENA QUARTA Boschetto delizioso coperto d'alberi, li quali intrecciandosi co' loro rami difendono dal sole, e talora ancor dalla pioggia. RUGGIERO in abito da cacciatore, LISAURA da cacciatrice, con seguito di Cacciatori e Servi. RUGG. Sposa, nel vostro volto Il brio ritorni usato: Ecco Febo rischiara il ciel turbato. LIS. Mai posseder mi lice Un perfetto piacer. Godea le fiere Cacciando unita a voi, sposo diletto, Ed un fiero timor mi assale il petto. RUGG. Lieve cagione è questa Per cotanto tremar. LIS. Altre ne chiudo Più fatali nel seno. RUGG. Invan cercate Voi stessa tormentar. Misero mondo, Se volesse ciascun, qual voi solete, Sempre il male temer. Goder conviene Di momento in momento il dolce, il bene. LIS. Ah Ruggiero, qualora Penso che un usurpato Godiam noi principato; Che in carcere innocente Vive ancor Celidoro, Chiuso colà dal vostro genitore, Il rimorso m'assale ed il timore. RUGG. Vano timor. Del padre mio non cerco L'arbitrio o la ragion. I suoi decreti Venero, approvo e lodo, E de' retaggi miei contento io godo. LIS. Altra dal padre vostro Funesta eredità goder vi piace. RUGG. Di che mai favellate? LIS. Di quel vostro Facile vagheggiar or questa or quella, Di quel fare il vezzoso ad ogni bella. RUGG. V'amo, Lisaura mia, ma con più forza Amor per voi mi scalderebbe il petto, Qualor senza sospetto Credeste alla mia fede. LIS. Non si può dubitar ciò che si vede. RUGG. Scherzo talora, è vero, Ma con amor sincero Amo voi sola. A voi tutto riserbo, Con immutabil zelo, Il tenero amor mio. LIS. Lo voglia il cielo. SCENA QUINTA RUSPOLINA e detti. RUSP. Povera me! L'agnella Più vezzosa, più bella, io l'ho perduta. RUGG. (Qual bellezza gentil non più veduta?) (rimane sorpreso vedendo Ruspolina) LIS. (Eccolo già sorpreso). (osservando Ruggiero) RUGG. (Ah, ch'io mi sento Accendere a drittura). (guardando Ruspolina) LIS. (Non può far resistenza alla natura). RUSP. La pecora non trovo, e pur dovrebbe Essere qui d'intorno. RUGG. (Che vago viso adorno!... Se Lisaura non fosse...) RUSP. Riverisco. (a Ruggiero) RUGG. Addio, giovine bella. RUSP. Vo cercando un'agnella, e non la trovo. RUGG. Del vostro dispiacer spiacere io provo. LIS. Oh che tenero cor! (con ironia) RUGG. Voi lo sapete, Se ho il cor tenero o duro, Se i sconsolati consolar procuro. LIS. Siete tenero assai, sì, lo confesso, Spezialmente però con il bel sesso. RUGG. Che stucchevole amor! RUSP. Povera agnella! Dove, dove sarai? RUGG. (Femmina più gentil non vidi mai). Chetatevi, fanciulla, Che il danno di un'agnella Riparare si può. LIS. Sì, poverina! (a Ruggiero) Movetevi a pietà d'un'infelice. Ad un eroe non lice Trascurar di soccorrere una bella: Supplite voi per la smarrita agnella. RUSP. Brava! Avete sentito? (a Ruggiero) Se vi spiace vedermi Pianger per il destin barbaro e crudo, Potete rimediar con uno scudo. RUGG. Voi me lo consigliate? (a Lisaura) LIS. Vi consiglio A far ciò che volete, Giacché il vostro dover non conoscete. Se un barbaro costume Vi toglie all'amor mio, Lascio in balia del Nume Punir l'infedeltà. Tolgo l'odioso aspetto Ai vostri ingrati lumi, E in preda al nuovo affetto Vi lascio in libertà. (parte con alcuni del seguito) SCENA SESTA RUGGIERO e RUSPOLINA RUGG. (Femmina sconsigliata! Troppo vuol, nulla avrà). RUSP. Quella signora È forse vostra sposa? RUGG. È mia germana. (Finger conviene). RUSP. Oh, questa sì ch'è bella! È gelosa di voi vostra sorella? RUGG. Ella per me risente Tenero amor nel petto. RUSP. Questo fra due fratelli è troppo affetto. RUGG. È ver; per voi risento Accendermi nel seno un miglior foco. RUSP. Piano, signore, un poco; Io non so chi voi siate, Non intendo da me cosa vogliate. RUGG. (Seguasi la finzion). Son io, mia bella, Un cavalier del principe Ruggiero. V'amo, v'adoro, e spero Che a me siano pietosi i vostri rai. RUSP. Oh padron mio, voi v'ingannate assai. RUGG. Perché? RUSP. Perché un amante Che mi parla d'amor all'improvviso, Non mi move a pietà, mi move al riso. RUGG. (Scaltra è costei). RUSP. Ma la smarrita agnella Ricercare vogl'io. RUGG. Se non si trova, Di supplire m'impegno a onesti patti. RUSP. Tutte belle parole, e tristi fatti. RUGG. Comandate, mia cara. RUSP. Certamente, S'io torno a casa senza l'agnellina, Mia madre griderà. RUGG. Che vi vorrebbe Per porre all'ira della madre il freno? RUSP. Vi vorrebbe uno scudo almeno almeno. RUGG. E se in vece di quello Le recaste un anello? RUSP. Meglio assai: Sarebbe contentissima. RUGG. Prendetelo, mia cara. (le dà un anello) RUSP. Obbligatissima. RUGG. Or la perdita vostra è risarcita. Deh, la perdita mia Risarcita da voi fate che sia. RUSP. Che perdeste, signore? RUGG. Il povero mio core. RUSP. Oh, mi dispiace. Vi porterò domani, Se non avrete il vostro cor nel petto, Il core d'un agnello o d'un capretto. RUGG. Cara, il vostro vogl'io. RUSP. Oh, perdonate. Il mio l'ho dato via, E non è roba per vossignoria. RUGG. Orsù, voglio da voi... (accostandosi) RUSP. Cosa volete? Meco, se nol sapete, Gli uomini di dir voglio non son usi, E paura non ho di brutti musi. RUGG. Ma prendeste l'anello... RUSP. Se l'ho preso, L'ho fatto per finezza, E se volete ancora, Io ve lo renderò... (ma non per ora). Vi vuol altro che un anello, Per il cor d'una fanciulla! Questa gioja non val nulla Presso quella - che più bella Custodita serberò. Voi credete, - m'intendete; Ma vi dico, signor no. (parte) SCENA SETTIMA RUGGIERO, Cacciatori e Servi. RUGG. Seguitela da lungi, e il di lei tetto Ditemi dove sia. (parte un Servo) Vincerò quell'orgoglio, e sarà mia. Donna che doni accetta, Lungamente al pregar resiste invano, Ed ha facile il cor come la mano. Se d'un tenero Cupido È quest'alma ai lacci avvezza, Colpa è sol della bellezza, Che m'invita a sospirar. Né il mio cor si dica infido Perché suol cambiar affetto: Anche Amor di tetto in tetto La sua sede suol variar. (parte) SCENA OTTAVA CELIDORO solo. Dove son? dove vado? ove m'aggiro? Sono libero alfine, alfin respiro. Questo ciel, questa terra e questo verde Non l'ho veduto mai; Quel che mondo si chiama, è bello assai. Giove m'ha fatto grazia Di rompere la torre e fracassarla. Quel vecchio disgraziato, Che mi tenea serrato, se lo trovo Lo voglio stritolare... Ma è quello che mi porta da mangiare. Eh, adesso da mia posta Trovarmene saprò... Ma dove? e come? Non so dove mi sia, E d'uscire trovar non so la via. SCENA NONA CETRONELLA colla rocca, e detto. CETR. Tornato è il sole, non tuona più; Le pecorelle van su e giù. Pascendo vanno di qua e di là, Godendo vanno la libertà. CEL. Qual voce! qual incanto Che mi penetra il cor! CETR. Pascete, agnelle, Con i vostri agnellini in compagnia. Consolatevi pur la notte e il dì, Che anch'io, quando potrò, farò così. (Chi è colui, che mi guarda attento e fiso?) CEL. (O Dei! che vago viso! Che vezzosa beltà! Qualche Nume sarà dal ciel calato). CETR. (Agli occhi miei non mi rassembra ingrato. Ma non l'ho più veduto). CEL. Ah, mio Nume celeste... (corre verso Cetronella) CETR. Aiuto, aiuto. (si ritira con timore) CEL. Mirate a' vostri piedi Prostrato Celidoro: Nume del ciel, la grazia vostra imploro. CETR. (Prendo un po' di coraggio). Ma, signore, Io non sono una dea; sono una donna. CEL. Donna voi? (s'alza con giubilo) CETR. Sì signore. CEL. Ah, me lo disse il core. Voi la metà preziosa Siete dell'uom; voi la gentil compagna Destinata da Giove a starci accanto. Ahimè, qual dolce incanto Esce dagli occhi vostri! Ah, che io mi sento Misto il cor di dolcezza e di tormento! CETR. Che! non avete mai Altro viso di donna ancor veduto? CEL. No, che m'hanno tenuto Chiuso finor con barbara fierezza. Oh che volto! oh che labbro! oh che bellezza! CETR. Poverin! che peccato! V'han tenuto serrato? CEL. Ah, non credea Che si dessero al mondo In un viso mortal sì vaghi rai. CETR. Ne vedrete di me più belle assai. CEL. No, di veder non curo Altra maggior beltà. Voi m'accendete, E voi sola dovete In questo istesso loco Porger qualche ristoro a tanto foco. CETR. Che vorreste da me? CEL. Non so. Mi sento Sconosciuto desio per voi nel core. Sento che il nuovo ardore Voi consolar potete; Ma come non so dir: voi lo saprete. CETR. Eh, si vede che siete Delle leggi sinor poco istruito. Sol tra moglie e marito È lecito, signore, Accendere e smorzar del sen l'ardore. CEL. Voi l'avete il marito? CETR. Signor no. CEL. Dunque io quello sarò. CETR. Ma perdonate... CEL. Son vostro, siete mia: non replicate. CETR. Eh, non basta così. CEL. Ditemi, presto, Che cosa deggio fare? CETR. Ai miei parenti Domandar mi dovete. CEL. Io non ho tempo Di cercare i parenti, e in questa cosa Che si deve accordar fra voi e me, D'altra gente bisogno ora non c'è. CETR. Non va bene, vi dico. CEL. Ah, ch'io pavento Che non siate una donna. Io non ho letto Che femmina gentil in verde etate Si facesse pregar come voi fate. No, che donna non siete... Eppur nel petto Sento crescer l'affetto. Questa smania non so che cosa sia. CETR. Sapete che cos'è? CEL. Che? CETR. Una pazzia. CEL. Pazzo a me? Giuro al cielo! Farò veder s'io son amante o stolto... Ma perdono l'ingiuria a quel bel volto. CETR. (Affé, sono imbrogliata). SCENA DECIMA POPONCINO e detti. POP. Cetronella, alla fin ti ho ritrovata. CETR. (Deh vieni, Poponcino). (a Poponcino) CEL. Chi è costui? (a Cetronella) CETR. È un pastor ch'io conosco... CEL. Forse è vostro parente? CETR. Signor sì. POP. (Parente?...) (piano a Cetronella) CETR. (Taci. Convien dir così). (piano a Poponcino) CEL. Parente, vieni qui. (a Poponcino) POP. Cosa volete? CEL. Io voglio in tua presenza Sposar questa ragazza. POP. Non signore, È cosa mia codesta. CEL. Ah, giuro al ciel, ti spaccherò la testa! (alza il bastone) POP. Ah Cetronella, aita. CETR. Chiedo per lui la vita. CEL. Gliela dono. Ma se del nostro amor non fien contenti, Tutti del mondo ucciderò i parenti. SCENA UNDICESIMA CALIMONE e detti. CAL. Ah Celidoro mio... CEL. Padre, costei È assai bella, mi piace: affé, la voglio. CETR. (Liberatemi voi da quest'imbroglio). (piano a Calimone) CAL. La conoscete voi? (a Celidoro) CEL. Sì, la conosco. È una donna. CAL. Di donne Affé ne vederete una tempesta. CEL. Altre adesso non vedo, e voglio questa. POP. (Eh, Cetronella è andata). CETR. (Povera me! Mi vedo disperata). CAL. Fidatevi di me. Voi l'averete; Ma per ora dovete Meco venir. CEL. Dove? CAL. Poiché la sorte Vi pose in libertà, voglio narrarvi Finalmente chi siete, E qual parte nel mondo aver dovete. CEL. Dite presto. CAL. Parlar qui non si può. CEL. Quella donna gentil non lascierò. CAL. Lasciatela, e prometto Ch'ella vostra sarà. CEL. Di voi mi fido. Ma giuro al ciel, badate: Non vi rispetterò, se m'ingannate. Donna, vi lascio il cor. Oimè! che rio dolor! Chi mi sa dir cos'è, Questo che provo in me Più non inteso ardor? Che amabile beltà! (a Cetronella) Padre, pietà, pietà. (a Calimone) Parente disgraziato! (a Poponcino) Che disperato - amor! (parte con Calimone) SCENA DODICESIMA CETRONELLA e POPONCINO CETR. Oimè! Alfin se n'è andato. POP. Cetronella, Tu sei graziosa e bella. T'avea donato il core, Ma con te non vogl'io più far l'amore. CETR. Perché? POP. Perché non senti? Colui vuole ammazzare i tuoi parenti. Se divengo tuo sposo, La parentela è stretta: Ei fa della mia testa una polpetta. CETR. Avrai cor di lasciarmi, Potrai abbandonarmi? Ah crudelaccio! POP. Io sono un poltronaccio. Amo la vita, e penso Che, perduta una volta, Non si riacquista mai; E delle donne ve ne sono assai. CETR. Va, di me non sei degno. POP. È finito ogn'impegno. Non voglio con colui qualch'altro intrico; Non son parente, e non chiamarmi amico. Pazzi quelli che per donne Vanno a farsi sbudellar; Io le donne voglio amar Ma con pace e sanità. Non mi preme questa o quella; Ogni donna mi par bella. Occhi belli - come quelli, Ve ne sono in quantità. (parte) SCENA TREDICESIMA CETRONELLA sola. Ah temerario, indegno, Mi disprezzi così? così favelli? Vi son degli occhi belli in quantità? Sì, ma un cor come il mio non vi sarà. Vanne, ricerca e prova. No, che un cor non si trova Fedele come il mio, schietto e sincero; Quando amor mi colpisce, amo davvero. Se talun mi dice bella, Non lo curo, e non gli credo; Nello specchio non mi vedo, Non coltivo la beltà. Ma quand'amo, e dico sì, Non mi fan più dir di no. Son fedel sempre così, E amorosa ognor sarò. Maledetto! disgraziato! Occhi belli - come quelli, Ve ne sono in quantità! Cor indegno! cor ingrato! Questi occhietti, poveretti, Sono tutti fedeltà. (parte) SCENA QUATTORDICESIMA Campagna rustica di Calimone. CELIDORO che dorme sopra un sasso, e DORINA DOR. Chi è mai questi che dorme? Il padre mio L'ha qui condotto. Ha seco Più d'un'ora parlato; Poi, restando qui sol, si è addormentato. Ha un'idea che mi piace, E tosto che di lui vidi l'aspetto, Dentro di me gli ho concepito affetto. Parmi di sentir gente... È il principe Ruggiero. Oh davvero, davvero... Son qui sola... Che cosa gli dirò? Ho soggezione... mi nasconderò. (si ritira) SCENA QUINDICESIMA RUGGIERO e detti. RUGG. Eccolo; è solo, e dorme. Fui a tempo avvisato. Se liberollo il fato Dalla carcere sua, con la mia mano Riparerò l'ingiurie della sorte, E dal sonno passar farollo a morte. (caccia la spada per ucciderlo) DOR. Ahimè! (manda un grido, non veduta da Ruggiero) RUGG. Qual voce è questa? Folle timor m'arresta; Pera il nemico, e cada. DOR. Svegliatevi, signor. (scuote Celidoro, e si ritira) CEL. Lascia la spada. (s'alza, s'avventa a Ruggiero, e lo disarma) Tu morirai... Ma prima Dimmi, qual rio furore A voler la mia morte, Barbaro, ti spronava? RUGG. (Iniqua sorte!) CEL. Non rispondi? Morrai... SCENA SEDICESIMA CALIMONE e detti. CAL. Fermate. (l'arresta) CEL. Indegno... (contro Ruggiero) RUGG. Colui non fuggirà sempre il mio sdegno. (parte) CEL. Quel perfido chi è? CAL. Non lo conosco. Sarà qualche assassino. (Di Ruggiero prevedo il rio destino). CEL. Lo troverò. Ma chi dal sonno mio A tempo mi destò? DOR. Son stata io. (scoprendosi) CAL. Tu lo salvasti? (a Dorina) DOR. Io, padre, Vidi, mentre ei dormiva, Al petto del meschin vibrar l'acciaro: Io feci al viver suo schermo e riparo. CAL. (Santa Madre Natura, Tu non favelli invano. Ha salvata la vita al suo germano). CEL. Cara, il mio cor v'adora... Poss'io sposarla? (a Calimone) CAL. È troppo presto ancora. CEL. Basta, basta... tu sei vezzosa e bella. CAL. (Egli ancora non sa ch'è sua sorella). DOR. Oimè, quando ho veduto Quel barbaro crudele In atto allora di ferirvi il petto, Intesi un certo affetto, Misto in seno di sdegno e di paura. CAL. (Tutt'opra della gran Madre Natura). DOR. E mi augurai la forza Aver pari allo sdegno, Per trafiggere il cor di quell'indegno. Avete nel viso Un certo non so che, Che un caldo improvviso Ha risvegliato in me. Un certo ignoto affetto Mi fa provar pietà: Lo prova il cor nel petto, Ma intenderlo non sa. (parte) SCENA DICIASSETTESIMA CELIDORO e CALIMONE CEL. Dunque di scellerati è pieno il mondo? Ah, perché non m'ascondo Entro la torre antica, Dove solo i miei dì finor passai? CAL. Fareste bene assai A starvene colà cheto e raccolto. CEL. Ma colà non vedrei di donna il volto. CAL. È vero; chi principia Le donne a rimirare con diletto, Non le sa, non le può staccar dal petto. (parte) SCENA DICIOTTESIMA CELIDORO, poi RUSPOLINA, poi CETRONELLA CEL. Dunque figlio son io di nobil padre? Dunque ricco son nato, Ed a me si conviene un principato? Ma Calimone ancora Tutto non mi narrò. Vuò che mi dica Dov'è lo stato mio, Quali son gl'inimici, e chi son io. Ah, chi sa che costui non sia l'indegno Che mi usurpa i miei beni, e la mia morte Scellerato procura? Se lo trovo, ammazzar lo vuò a drittura. (correndo con la spada alla mano s'incontra in Ruspolina) RUSP. Ahimè! CEL. Bella, perdono: Depongo il ferro, e vostro schiavo io sono. (getta la spada) RUSP. (Che bizzarra fierezza!) CEL. (Che vezzosa bellezza!) RUSP. E cosa avete, Che vi vedo infuriato? CEL. Voi avete il mio cor vinto e placato. RUSP. (Affé, non mi dispiace). CEL. (E questa ancora Come l'altra mi piace e m'innamora). Dite: avete parenti? RUSP. Signor no. CEL. Dunque vi sposerò più facilmente. RUSP. Che dite di sposar? Io non so niente. CETR. (Che vedo? Ruspolina e Celidoro?) CEL. Venite, mio tesoro. (a Cetronella) Venite qui da noi. CETR. State bene con lei. CEL. Voglio ancor voi. RUSP. Signore, io non intendo Di oltraggiare l'amica. CETR. Io non vuò che si dica Che disturbi a nessun le gioie sue. CEL. Ma se voglio sposarvi tutte due! CETR. Che stile! (con sprezzatura) RUSP. Che parlar! CETR. Che villania! RUSP. Se avete tai pensieri, andate via. CEL. Ho parlato sì mal? RUSP. Male, malissimo. CETR. Voi siete in queste cose ignorantissimo. CEL. Vi domando perdono. Eruditemi voi, care bellezze, E lasciatevi far delle carezze. CETR. Insolente! RUSP. Immodesto! CETR. Con le fanciulle non si fa così. RUSP. Non si fan le carezze il primo dì. CEL. Per carità, figliuole, Insegnatemi voi cosa far deggio Per piacervi una volta e non sdegnarvi. RUSP. Via, vi voglio instruir. CETR. Voglio insegnarvi. RUSP. Cetronella, sediamo. CETR. Sediamo, ed ascoltate. CEL. Care, son qui da voi. Su via, parlate. CETR. } a due Amar senza modestia È un far l'amor da bestia; Vi vuole con l'affetto Rispetto - e civiltà. RUSP. CEL. Per voi sarò amoroso, Modesto e rispettoso; Abbiate del mio foco Un poco - di pietà. RUSP. Si può far un vezzetto. (Ai loro gesti amorosi Celidoro si sente ardere) CETR. Si può far un risetto. RUSP. } a due Si può con tenerezza Mirar e sospirar. CETR. CEL. Mie belle - pastorelle, Abbiate carità. (vorrebbe abbracciarle) RUSP. Modestia. CETR. Rispetto. a due Affetto e civiltà. CEL. Compatite l'ignoranza: Io non so d'amar l'usanza. CETR. } a due Ascoltate, ed imparate: All'amor così si fa. RUSP. RUSP. Caro bell'idol mio. (con tenerezza) CETR. Piena d'amor son io. RUSP. Unico mio tesoro. CETR. Per te languisco e moro. a due Abbi di me pietà. CEL. Ahimè, non posso più; Mi sento venir su Dal cor un certo caldo; Non posso più star saldo, Il mal crescendo va. (siede, mostrando di abbracciarle) RUSP. } a due Modestia e civiltà. CETR. RUSP. (Or ora se ne va). CETR. Occhi furbetti! CEL. (Non posso più). CETR. Cari labbretti! CEL. (Non posso più). RUSP. } a due Sì, gioia mia, Ti voglio amar. CETR. CEL. Chi può star saldo stia, (s'alza) Ch'io non ci posso star. RUSP. Modestia. CEL. Non si può. CETR. Rispetto. CEL. Se ne va. RUSP. } a due Rispetto e civiltà. CETR. CEL. Un poco di pietà! (partono) ATTO SECONDO SCENA PRIMA Cortile antico, con fontane, acquedotti ed archi, dai quali si passa al palazzo di Ruggiero. DORINA con un piccolo vaso, che viene per attignere acqua alla fonte. Ben volentier pel padre mio, che brama Spegner la sete in fra gli estivi ardori, A raccor vengo i cristallini umori. Ma qui, dove sovente S'incontrano soldati e cavalieri, Vengo mal volentieri. Ciascheduno M'insulta, mi molesta, E mi dicon ch'io son troppo modesta. Presto mi spiccierò. (s'avvia verso la fonte) SCENA SECONDA RUGGIERO con Guardie, e detta. RUGG. Fermati. (incontrandosi in Dorina) DOR. Oh Dio! RUGG. Tu del nemico mio, Tu salvasti la vita. DOR. La pietade, il timor mi rese ardita. RUGG. Lo conosci colui? DOR. No certamente: Io non so chi egli sia. RUGG. Perché dunque sottrarlo all'ira mia? DOR. Fu d'un affetto ignoto Forza violenta e strana. RUGG. (Non sa d'essere ancor di lui germana). DOR. (Vorrei fuggir). RUGG. (Ma prima che lo sappia, Chiudasi in forte rocca, e là sia spenta. Ogni lieve periglio or mi spaventa). DOR. (Non mi guarda...) (prova d'andarsene) RUGG. T'arresta. DOR. Perché, signor? (tremante) RUGG. Soldati, Arrestate costei. DOR. Misera me! chi mi soccorre? oh Dei! (I Soldati la circondano) SCENA TERZA CALIMONE e detti. CAL. Dorina... DOR. Ah padre mio, Soccorretemi voi. CAL. Che cosa è stato? RUGG. Giustamente sdegnato Contro costei son io. L'hanno arrestata, ed il comando è mio. CAL. Ah, che fate, signor? RUGG. Non più; miei fidi, Al carcere si guidi; e custodita Sia cautamente. DOR. Oh me meschina! CAL. Povera innocente! Rammentate, signor... RUGG. So quel ch'io faccio. Non ardite parlar. (con collera) CAL. Pazienza! io taccio. DOR. Dunque m'abbandonate? (a Calimone) CAL. Figlia mia, Tu lo vedi, conviene aver pazienza. (Ma del cielo oprerà la provvidenza). RUGG. Vattene. (a Dorina) DOR. Oh destin rio! Padre, vi lascio. CAL. Oh figlia cara! DOR. Addio. Ahi! di me che mai sarà? Caro padre, oh Dio! non so, Se qual vado tornerò. Raccomando al cielo, ai Numi, Gl'innocenti miei costumi, La mia povera onestà. (parte fra' Soldati) SCENA QUARTA RUGGIERO e CALIMONE CAL. Ah signor, che faceste? RUGG. Or non è tempo D'usar più la pietà. Se non distruggo Questo sangue nemico, o nol disperdo, Le mie ragioni al principato io perdo. Libero è Celidoro; Va crescendo Dorina: è necessario, Per stabilir mia sorte, Ch'una in carcere vada, e l'altro a morte. CAL. (Oh, che cuor di leon!) RUGG. Voi, Calimone, Voi che qual vostra figlia Col nome di Dorina Rosimira allevaste; Voi che in carcer serbaste Celidoro finora a' cenni miei, Sciolto alfin dagli Dei; Voi, per cui son de' stati miei l'erede, Attendete da me premio e mercede. CAL. (D'un tiranno crudel sprezzo i favori). RUGG. (Egli il premio averà de' traditori). Sarai felice, Sarai contento, Se aver mi lice Senza spavento L'intero frutto Della tua fede, Se in te non cede La fedeltà. Ma se tradirmi Pensassi mai, Di man fuggirmi No, non potrai. De' miei nemici Saprò schernire, Saprò punire L'infedeltà. (parte) SCENA QUINTA CALIMONE, poi CELIDORO CAL. Ha perduto Ruggiero ogni ritegno. Il suo barbaro sdegno ormai eccede, E non merita più né amor né fede. La povera Dorina Mi muove a compassione; E a costo della vita, Liberarla vogl'io dalla prigione. CEL. Dove son queste donne? CAL. Ah Celidoro, Venite qui. CEL. Ma dove son celate Queste ninfe gentili? CAL. Altro che ninfe! Venite qui, quel che vi narro udite: Ascoltatemi bene, e inorridite. CEL. V'odo. (Le troverò). CAL. Quella fanciulla Che vi difese... CEL. Graziosetta e bella. CAL. Quella è vostra... CEL. Consorte? CAL. Oibò, sorella. CEL. Mia sorella Dorina? CAL. Sì, tenuta Per mia figlia, sinora ignota a tutti, Per voler di colui che avvinto e oppresso Ha tenuto voi stesso... CEL. Ov'è Dorina? Presto, la sorellina ove dimora? CAL. Badate a me, non ho finito ancora. Ruggiero, che spietato Vi usurpa il principato, Non so per qual cagione Ha mandato Dorina ora in prigione. CEL. Perfido, traditore, Voglio strappargli il core. (vuol partire) CAL. Dove andate? CEL. A recidergli il capo. CAL. No, fermate. Solo far nol potete. Egli è difeso Da guardie e da soldati. CEL. Io li farò cader tutti svenati. CAL. Non ci vuol tanto foco. Moderatevi un poco. CEL. Eh, che non posso L'ira mia moderar contro il ribaldo. CAL. Lo so che troppo caldo Siete voi per effetto di natura; Ma vi vuole prudenza, e non bravura. Badate a me, Vi vuol politica, Convien riflettere Per ben oprar; Gettar il sasso, Celar il braccio, Prender il passo, Tender il laccio. Più di bravura Val la drittura, Val il sapere Barcamenar. (parte) SCENA SESTA CELIDORO solo. Una spada, una lancia, un buon bastone, E vedrà Calimone Se forte è questo braccio, E se so da per me trarmi d'impaccio Dorina, mia germana, Vuò liberar; vuò che Ruggiero mora, E consolato allora, Seguendo delle donne Gli amorosi, modesti insegnamenti, Nella scuola d'amor farò portenti. SCENA SETTIMA POPONCINO con spada alla mano, e vari Uomini armati; e detto. POP. Viva il principe nostro! CEL. Olà, con chi l'avete? POP. Sì, voi principe siete Di quest'isola nostra, E il principato e la corona è vostra. CEL. Come il sapete voi? POP. L'ha confidato Il vecchio Calimone A due sole persone; Ma quando due lo san, lo sanno tutti, E si è sparsa la voce ai vecchi e ai putti. CEL. Ma che fare dobbiam? POP. Con noi venite, Il nemico assalite. V'insegnerem la strada. Non temete di nulla: ecco una spada. CEL. Andiam... Ma qual ragione A tradir vi dispone Quel che finor per principe adoraste? Non vorrei che fingeste o m'ingannaste. POP. Il principe Ruggiero Odia i sudditi sui, E le donne vorria tutte per lui. CEL. Tutte? POP. Sì, quasi tutte. CEL. Per esempio, Di quante si contenta? POP. Credo ne prenderebbe insino a trenta. CEL. È troppo, è troppo: non si può soffrirlo. Io vorrei compatirlo Fino a due, fino a tre... POP. Dove apprendeste Una sì trista scuola? Non si prende altra donna che una sola. CEL. Una sola? e per quanto? POP. Una sola, e per sempre. CEL. E non si cambia? POP. Signor no. CEL. Ma se fosse Fastidiosa e cattiva? POP. Godersela convien sino ch'è viva. CEL. M'ingannate? POP. Signor, vi dico il vero. CEL. Questo scoglio davver mi sembra fiero. POP. Oh, se cambiar potesse Il marito la sposa Cattiva e fastidiosa, Credetemi, che adesso Moririan pochi colla moglie appresso. Per vivere in pace Bisogna soffrir. S'è donna loquace, Lasciatela dir. Se grida, tacete, Se ride, ridete, E guai se voleste A lei contradir! Son cose - grintose Che fanno morir. (parte) SCENA OTTAVA CELIDORO e gli Armati. CEL. Come è possibil mai Che sia la donna bella Una cosa per l'uom sì trista e fella? Credere nol potrò... Ma questa spada Impugnar lungamente Non voglio inutilmente. Amici, andiamo, Che liberar la mia germana io bramo. SCENA NONA CETRONELLA, RUSPOLINA e detti. CETR. Dove col ferro in mano? CEL. A trafigger Ruggiero, Il principe spietato Che usurpommi finora il principato. RUSP. Dunque voi... CEL. Sì, son io Di Maiorica il solo e vero erede. CETR. In verità si vede Che avete qualche cosa in voi di grande. CEL. Le ingiurie della sorte Correggere saprò, E le mie principesse io vi farò. RUSP. Eh burlate, signore... CETR. Non merto un tal onore. RUSP. Io sono un'ordinaria pastorella. CETR. Io nobile non sono, e non son bella. CEL. Non curo nobiltà; sol la bellezza È quella che mi piace, E però mi piacete tutte due, Perché ciascuna ha le bellezze sue. Quell'occhio m'innamora, E m'ha ferito il cor. (a Cetronella) Quel labbro mi ristora, E m'empie il sen d'amor. (a Ruspolina) In voi mi piace il vezzo. (a Cetronella) In voi la grazia apprezzo. (a Ruspolina) Ma so ch'è l'una e l'altra Un po' furbetta e scaltra. Ciascuna la sua parte Sa l'arte dell'amar. (parte con gli Armati) SCENA DECIMA CETRONELLA, RUSPOLINA, poi Soldati. CETR. Mi rallegro con lei. RUSP. Ed io con lei Mi consolo, signora. Ella incanta le genti. CETR. Ella innamora. RUSP. Con gli occhi fa portenti. CETR. Con i labbri fa strage. RUSP. Ha un vezzo portentoso. CETR. Ha un valor la sua grazia strepitoso. RUSP. Sarà suo Celidoro. CETR. Anzi di lei. RUSP. Non ponno i merti miei Lusingarmi di tanto. CETR. Io conosco me stessa, e non mi vanto. RUSP. Celidoro anche lui vi ha conosciuta, Che siete un poco astuta. CETR. Ha detto in faccia a noi Che per tale conosce ancora voi. RUSP. Può darsi che mi riesca Superar questa volta il vostro ingegno. CETR. Non la cedo a nessun, quando m'impegno. RUSP. Gran virtù! CETR. Gran sapere in lei si trova! RUSP. } a due Veniamo alla prova, Vediamo chi sa. La vostra beltà Sì rara non è. Temer non mi fa... Aiuto, aiuto... oimè! cosa sarà? CETR. (Vengono i Soldati, le prendono tutte due, e le conducono via) SCENA UNDICESIMA Camera della Principessa. LISAURA sola. No, tollerar non posso Di gelosia il tormento. Smanio, deliro, e sento Crescere a poco a poco Misto a quello d'amor di sdegno il foco. Ruggiero in faccia mia Ardisce vagheggiar la pastorella, E gli par più di me vezzosa e bella. Ruspolina al mio sdegno Voglio sacrificar. Da' servi miei A quest'ora la credo in ceppi avvinta: Quest'indegna rival la voglio estinta. SCENA DODICESIMA CETRONELLA e detta. CETR. Riverisco. LIS. Chi siete? CETR. Cetronella son io. LIS. Cosa volete? CETR. Cosa volete voi, Che senza carità M'avete fatta strascinar fin qua? LIS. Non voleva già voi, ma Ruspolina. CETR. E Ruspolina ancora È stata presa, e sarà quivi or ora. LIS. Spiacerci, che innocente Voi abbiate sofferto un tale oltraggio. CETR. Mi parea cosa strana Che l'aveste con me. Non vi è nessuno Che di me si lamenti; E fo, quando poss'io, tutti contenti. LIS. Ruspolina per altro Non fa così. CETR. Oh, io non dico male. Se volessi, di lei Molto parlar potrei. Ma io la lascio fare, E non vuò della gente mormorare. LIS. Ebbe costei l'ardire D'invaghir mio marito. CETR. Non è niente. Oh se sapeste!... Basta, Altro non voglio dir. LIS. Dite, parlate: Vi sarò sempre amica. CETR. Della mormorazion io son nemica. LIS. Qualunque ardisce darmi gelosia, Proverà l'ira mia. CETR. Dica, signora, Io me ne posso andar? LIS. Sì, cara, andate; Un error perdonate. CETR. Non è niente. Una donna prudente è sempre tale, E chi opra ben non ha timor del male. LIS. Siete voi maritata? CETR. Non signora. LIS. Perché state così? CETR. V'è tempo ancora. È vero che mia madre Vorrebbe maritarmi, Ma non sa accomodarmi. Anche l'altr'ieri Ho fatto con la vecchia Un dialogo grazioso, Con il qual si diceva e sì e no. Lo volete sentir? LIS. Lo sentirò. CETR. Figlia mia, vuoi tu marito? Mamma mia, lo prenderò. Mamma mia, lo vuò compito. Figlia mia, te lo darò. Figlia mia, come lo vuoi? Mamma mia, ve lo dirò. Galantino, - graziosino, Manieroso, - non geloso, Con denaro, - non avaro. Troppo, troppo, figlia mia. Mamma mia, lo vuò così. Figlia mia, non vuoi godere? Mamma mia, non dico no. Mamma mia, lo vuò vedere. Figlia mia, tel mostrerò. Figlia mia, come lo vuoi? Mamma mia, ve lo dirò. Bello, bello, - garzoncello, Giovinetto, - vezzosetto, Tutto brio, - tutto mio. Troppo, troppo, figlia mia. Mamma mia, lo vuò così. (parte) SCENA TREDICESIMA LISAURA, poi RUSPOLINA LIS. Questa buona ragazza Merta d'essere amata, e mi rincresce Che ad essa per errore Recato i sensi miei abbian timore. Ma se vien Ruspolina... Eccola. Indegna, La sua baldanza ad infierir m'insegna. RUSP. Signora, siete voi Che mi ha fatto legar? LIS. Sì, quella io sono. RUSP. Vi ringrazio di cuor di un sì bel dono. Cosa ho fatto di male? LIS. Sfacciatella, Non ti ricordi la perduta agnella? Non ti sovvien dei vezzi Fatti allo sposo mio? RUSP. Oh caso strano! Ch'egli era, ha detto a me, vostro germano. Ma non è sì gran colpa. LIS. A viver bene Apprendere dovresti Dall'altra tua compagna pastorella. RUSP. Apprendere da chi? LIS. Da Cetronella. RUSP. Oh sicuro, da lei Qualcosa apprenderei. L'ho veduta più volte Questa ragazza onesta Con quel ch'è vostro sposo, a testa a testa. LIS. Con Ruggiero? RUSP. Non so come si chiama; Ma so ben ch'egli l'ama E che l'ha regalata. Ma non voglio dir male... LIS. Ah scellerata! E sa finger così? Guardie, ove siete? (entrano le Guardie) Cetronella prendete, Serbatela in prigione a' cenni miei. RUSP. Io vado... LIS. E sia lo stesso di costei. Fra le tante amare pene Che dal seno il cor divide, È il tremar dell'alme infide, È l'amare e il sospirar. Donne infeste all'altrui bene, Che rapite i cori altrui, Non sarò più qual io fui Compiacente a tollerar. (parte) SCENA QUATTORDICESIMA RUSPOLINA e Guardie. RUSP. Povera sventurata! Sono stata ingannata. Io non credea, Che quel tale signor fosse ammogliato. Io sfuggo ognor le liti, E non soglio toccar gli altrui mariti. Ora anderò prigione, E per me non si trova compassione. Poverella, in questa età Non potrò trovar pietà? V'è nessun che mi soccorra? Stanno duri come un sasso. Se si tratta di far chiasso, Esibirsi ognun procura, Ma in un caso di premura Non si trova carità. (partono) SCENA QUINDICESIMA Piazza posteriore del Castello, che introduce al Castello medesimo per una breve salita, con ponte levatore e guardie. CELIDORO, POPONCINO armati, con seguito di gente armata CEL. Amici valorosi, È ver che la natura C'insegna aver paura; Ma fuggendo morir da lance o dardi, Tant'e tanto si muore, o presto o tardi. POP. È vero, lo so anch'io che morirò; Ma tardetto vorrei più che si può. CEL. Animo, ci son io; di che temete? POP. Andate, se volete; E noi di mano in mano Vi veniremo dietro (di lontano). CEL. Voglio la mia germana Liberar di prigione. POP. Ma voi per qual ragione Avete per colei tanta premura? CEL. Per effetto di sangue e di Natura. POP. La Natura dovrebbe Avervi stimolato A riacquistar il vostro principato. CEL. E per questo, e per quello, E per quello, e per questo... Amici, andiamo, e parlerem del resto. Celidoro s'avvia per la salita seguito da' suoi Armati. Poponcino resta indietro di tutti, mostrando il suo timore. S'apre la porta del Castello, e si cala il ponte, da dove escono combattenti. Celidoro ed i suoi retrocedono al piano, Poponcino si ritira fuggendo. Celidoro si svia combattendo. Segue la zuffa, dopo la quale Celidoro ed i suoi vittoriosi salgono ed entrano nel Castello. Poponcino, dopo di tutti, godendo della vittoria sale ancor esso; e tutti entrano nel Castello, sempre col suono dei tamburi. SCENA SEDICESIMA CALIMONE solo. Oh quanti morti! oh quanto sangue! oh quanta M'hanno fatta paura! Ma Celidoro ha vinto. Eccolo ch'egli arriva: Viva il mio Celidoro, evviva, evviva! (A suono di giulivi strumenti scendono) SCENA DICIASSETTESIMA CETRONELLA, RUSPOLINA, DORINA, CELIDORO, POPONCINO e seguito. CEL. Buon vecchio, ecco Dorina. DOR. Ah, padre mio... (a Calimone) CAL. Tuo padre non son io. DOR. Ah, cosa sento mai? CAL. Vieni meco, che tutto alfin saprai. DOR. Grazie al ciel, grazie a voi, che così presto Mi toglieste dal piè dei lacci il peso. CEL. Quel che a me tu facesti, ecco, ti ho reso. CAL. Tutt'opra di Natura. POP. Tutt'opra della mia somma bravura. CAL. Vieni; da me gran cose, Dorina, sentirai. (parte) DOR. Vengo. Affé, son curiosa assai assai. (parte) SCENA DICIOTTESIMA CELIDORO, POPONCINO, CETRONELLA e RUSPOLINA RUSP. (Principe Celidoro è dunque nato?) CETR. (Dunque avrà il principato?) RUSP. (Una sposa vorrà simile a sé). CETR. (Una fortuna tal non è per me). CEL. Bellissime fanciulle, Voi pur col mio valore io liberai. POP. Anch'io, credete, ho combattuto assai. RUSP. Una donna sdegnata Mi aveva rinserrata. CETR. Una gelosa Mi teneva là dentro ingiustamente. CEL. Il braccio mio possente Vi liberò a drittura. POP. Potete ringraziar la mia bravura. CEL. Ora sarete mie. POP. Piano, padrone: Vuol la buona ragione, Se il suo valore ha dimostrato ognuno, Si dividan le prede una per uno. CEL. Hai ragion: pastorelle, Presto scegliete voi Quello che più v'aggrada fra di noi. RUSP. } a due Voglio voi, voglio voi. (a Celidoro) CETR. CEL. Tu l'hai sentito: Vogliono tutte due me per marito. POP. Ma diavol, non sapete, Che non si può sposarne che una sola? CEL. È vero. Una parola (a Cetronella e Ruspolina) Dite che a tutti due porga ristoro. RUSP. } a due Io voglio per marito Celidoro. CETR. CEL. Lo senti? POP. Non va bene. Facciam così, mio caro Celidoro; Prendiamo da noi stessi una di loro. CEL. Io vuò la preferenza. POP. Sì, questa è convenienza. RUSP. (Se non è Celidoro, io non lo voglio). CETR. (Se non è Celidoro, è un brutto imbroglio). CEL. Belle mie, voi meritate Tutte due la mano e il core. L'amor mio non condannate Se fo torto alla beltà. POP. Belle mie, non dubitate, Ho ancor io la mano e il core. Non sarete maltrattate, Un buon uom vi toccherà. RUSP. } a due (Caro amor, mi raccomando, Fammi aver la preferenza. A me piace l'eccellenza Molto più della beltà). CETR. CEL. Sceglierò... ma con tormento. POP. Non vi vuole complimento. a quattro Chi di voi mi toccherà? CEL. Tu fosti la prima: Il core è per te. (a Cetronella) POP. La fede si stima: Quest'altra è per me. (a Ruspolina) CETR. Contenta son io. RUSP. Crudele, ben mio, Sei meco? Perché? (accostandosi a Celidoro) CEL. Resister non so, Io vostro sarò. (a Ruspolina) POP. Se quella è per te, Quest'altra è per me. (passa da Cetronella) RUSP. Contenta sarò. CETR. Mio caro, morirò; Non mi lasciate, no. CEL. Lasciarvi non poss'io; Voi siete l'idol mio. POP. Scegliete questa o quella. CEL. Ciascuna mi par bella, Mi scalda ognuna il cor. POP. Facciamo così: Decida la sorte. Prendiam la consorte Di man del destin. CEL. Si faccia. CETR. } a due Si faccia. RUSP. a quattro Vediamone il fin. POP. Su due foglie col mio dardo I due nomi scriverò. (Cetronella non vorrei. So ben io quel che farò). (da sé) (Prende da un albero due frondi, e scrive su tutte due il nome di Cetronella) CEL. Belle mie, voi meritate Tutte due la mano e il core; L'amor mio non condannate, Se fo torto alla beltà. POP. (Celidoro sceglierà. Cetronella sortirà, E quell'altra mia sarà). Ecco i nomi nel cappello: S'ha da estrar la pastorella. CEL. Io l'estraggo. Cetronella. (legge) CETR. Che contento! RUSP. Che tormento! POP. Ruspolina mia sarà. (s'accosta a Ruspolina) RUSP. Via di qua. (lo caccia con impeto, e gli cade l'altra foglia che aveva nel cappello) Cos'è questo? Cetronella? (legge sulla foglia trovata in terra) CEL. } a due Cetronella eccola qui. (additando l'altra foglia) CETR.. RUSP. Cetronella è scritta qui. Ah briccone, mascalzone, Mi volevi corbellar. (a Poponcino) POP. Ho fallato. CEL. Scellerato, Io ti voglio stritolar. CETR. } a due Caro mio, Tua son io. (a Celidoro) RUSP. CEL. Per tua pena Soffri, e vedi. POP. Maledetto! CETR. } a due Mio tesoro. Per voi moro. RUSP. CEL. Vedi, soffri, Taci, e pena. (a Poponcino) CETR. } a tre Che contento Sento al cor! RUSP. CEL. POP. Che tormento Provo al cor! (partono) ATTO TERZO SCENA PRIMA Ritiro grottesco fra' monti con caduta di acque. LISAURA, poi DORINA LIS. Ove fuggo, infelice? ove m'ascondo? Superate le guardie, Saccheggiato il palazzo, Fuggitivo Ruggiero, oppresso e vinto, Or fra' lacci sarà, se non estinto; Ed io, misera e sola, Perduto il mio consorte, Finirò i giorni miei fra le ritorte? Misera! dove fuggo? DOR. Oh me felice! Or conosco me stessa: Pastorella non son, ma principessa. LIS. Ninfa gentil... DOR. Signora, Vi domando perdono, Ninfa di questi boschi or più non sono. LIS. Ma chi siete? DOR. Son io Germana a Celidoro, Di quest'isola erede; E Calimone ne potrà far fede. LIS. Ah, voi siete felice, ed io la sola Sventurata sarò. DOR. Per qual ragione? LIS. Perché priva di sposo, Di soccorso, d'amici, Di ricovro, d'aiuto e di pietade, Dovrò perir nella fiorita etade. DOR. (Mi move a compassion). Se darvi io posso Opportuno soccorso, Disponete di me. LIS. Deh, qualche asilo Ritrovatemi voi. Non so in qual parte Nascondermi, fuggir. DOR. Rustico tetto Vi posso offrir per sicurezza. Intanto Si piegherà la sorte, E se il vostro consorte Per volere del ciel fosse perduto, Calimon vi darà consiglio, aiuto. LIS. Figlia, accetto in buon grado L'offerta generosa. Il ciel vi serbi A destino del mio più lieto e certo, E coroni la sorte il vostro merto. Qual delitto, stelle irate, Da punire in me scorgete? Nel mio cor, voi lo sapete, Non si cela infedeltà. Se l'amar con gelosia È una colpa, io non mi pento. Soffro in pace ogni tormento Dalla vostra crudeltà. (parte) SCENA SECONDA DORINA sola. Itene, che vi seguo. Sventurata! Sento di lei pietà. Del caro sposo Ella è gelosa amante, E il principe Ruggiero è un incostante. Ho inteso dir più volte Che far l'amor è cosa Troppo pericolosa. Io sono ancora Inesperta, gli è ver, per tal mestiere, Ma vo ascoltando, e imparo, E a difendermi bene or mi preparo. D'un bambinello Non ho timore: Col dio d'Amore Scherzar saprò. E se col dardo Vorrà ferirmi, Per divertirmi Lo spunterò. (parte) SCENA TERZA RUSPOLINA e POPONCINO RUSP. Andate via di qui. POP. Cosa vi ho fatto? Perché così sdegnata? RUSP. Mi avete assassinata. Avete procurato Di levarmi lo sposo e il principato. POP. Ma cara Ruspolina, Riflettere conviene Ch'io l'ho fatto perché vi voglio bene. RUSP. Bell'amor! Per amore Impedir ch'io divenga una signora? Che bell'amor! La sorte Far che cada in favor della rivale? Maledetto l'amor che mi fa male! POP. Ma non vale un tesoro Un amante fedel? Non val più assai D'un principato, e ancor d'una corona Un cuor sincero e fido? RUSP. Di questo me ne rido. La fedeltà s'apprezza, Ma io la stimo men della ricchezza. POP. Celidoro è incostante, Fa di tutte l'amante. Io sarò tutto vostro. RUSP. Bel regalo! Obbligata vi sono. POP. Ruspolina, V'amo con tanto affetto! RUSP. Andate via, che siate maledetto. Vi son delle ragazze Che sono così pazze, Che chiamano fortuna Un poco di piacer. Ma dopo quattro dì Non dicono così. L'amore presto passa; L'amore non ingrassa; Se mancano i quattrini, L'amore se ne va. (parte) SCENA QUARTA POPONCINO, poi CETRONELLA POP. Costei non dice male; Parla da dottoressa naturale. Ecco qui Cetronella. Sdegnata ancora ella Meco sarà per le ragioni sue, Onde le avrò perdute tutte due. CETR. Caro il mio Poponcino, Vi son bene obbligata: Avete la mia sorte procurata. POP. Direte ch'io non v'amo? CETR. Anzi dirò Che m'amate davvero, e che lo so. POP. Crediam che Celidoro A voi darà la mano? CETR. Io così spero. POP. Ma se non fosse vero, Se volesse sposare una signora, Ditemi un poco, allora Sposereste voi me? CETR. Io tutti sposerei fuori di te. POP. Perché? CETR. Perché colui Che infedele mi fu, Se credessi morir, nol guardo più. POP. Ma io, se vi ho lasciato, L'ho fatto per timore. CETR. Ebben, chi ha dell'amore Per una che il suo cor tutto gli dona, Se credesse morir, non l'abbandona. POP. Dunque per l'avvenir... CETR. Per l'avvenire Farai di quella spessa: Tu sarai un villano, io principessa. POP. Può darsi che la cosa ancor sia varia: Questi finora son castelli in aria. Voi altre femmine Fate così. Siete pur facili Nello sperar. Se qualche nobile Vi vuole amar, Credete subito Di dameggiar. Ma tutti ridono E vi corbellano, Quando vi sentono Titoleggiar. (parte) SCENA QUINTA CETRONELLA, poi RUGGIERO travestito, con Gente armata. CETR. Povero disgraziato, Tu parli per invidia; Ma te ne pentirai, Quando dell'eccellenza mi darai. Oimè! Chi son coloro? Volgono armati a questa volta i passi. Io mi nasconderò fra questi sassi. (si cela dietro una bassa rupe) RUGG. Amici, ogni speranza è ormai perduta. Non ci resta difesa; Divengono i nemici ognor più fieri, E noi spenti saremo, o prigionieri. L'arte si tenti, ove la forza è vana. Nascondiamoci qui fra queste rupi; Qui deve Celidoro A momenti passar. Testé lo seppi; Attendiamolo al varco, e in lui sia spenta La ria cagion che i danni miei fomenta. (si cela fra' dirupi con gli Armati) CETR. Povero Celidoro, Vogliono assassinarlo... Torna gente... (si nasconde nel luogo di prima) SCENA SESTA CELIDORO e detti nascosti. CEL. Voglio un po' respirar. Fra questi sassi Di quest'acque il rumor m'alletta e piace. E goderò qualche momento in pace. RUGG. (Ecco solo il nemico). CEL. (Chi è costui?) RUGG. (Mi vuò con l'arte assicurar di lui). Amico. CEL. Che volete? RUGG. In periglio voi siete: V'insidiano i nemici. CEL. Il mio valore Quanto vaglia lo sanno. RUGG. Non useran la forza, ma l'inganno. V'offro, se pur v'aggrada, La mia mano in difesa, e la mia spada. CEL. Eh, sì facil non credo L'insidiare, il tradir. Gente sì trista Non vi sarà che sappia, Pria che morir con lode, Usar l'inganno e macchinar la frode. RUGG. Pur troppo vi sarà. CETR. Sì, dice bene. Celati i traditori Son per questo sentiero. Il principe Ruggiero Guida nascostamente i servi suoi, Ed è questo che parla ora con voi. CEL. Come! RUGG. Misero me! CEL. Tu sei? (a Ruggiero) RUGG. Soldati. (chiama, e pone mano alla spada) CEL. Chi ardirà d'insultarmi, Tosto cadrà svenato. (impugna la spada) RUGG. Ah, che m'hanno i codardi abbandonato. CEL. Renditi. RUGG. Sì, mi rendo. (getta la spada) CETR. Traditore! È questo il tuo valore? Così tosto t'arrendi al paragone? RUGG. (M'avvilisce il rimorso). CETR. (È un bel poltrone). CEL. Vattene. (a Ruggiero) CETR. Saria meglio... (a Celidoro) CEL. Che cosa? CETR. Dico io, Per non far ch'egli avesse altra paura, Con un colpo spicciarselo a drittura. CEL. No. Vivi. Tu mi muovi A pietà, non a sdegno. Di svenare un codardo io non mi degno. RUGG. Questa è la maggior pena Che dar mi puoi. Più della morte istessa, Più d'ogn'altro dolore, È più fiero tormento il mio rossore. Ti chiedo la morte Per pena o per dono. Morire da forte Costante saprò. È ver che di Marte Gl'inganni tentai, Ma il solo in tal arte, Né il primo sarò. (parte) SCENA SETTIMA CELIDORO e CETRONELLA CEL. Trista difesa all'empio È dei tristi l'esempio. CETR. State certo, Sulla parola mia, Ch'egli l'ha fatto per poltroneria. CEL. Ma voi, bella ragazza, Mi salvaste la vita. CETR. Se l'ho fatto, Ho fatto il dover mio. CEL. Ninfa gentil, vi sarò grato anch'io. CETR. Delle belle parole Ne ho avute in abbondanza. Cibo troppo leggiero è la speranza. CEL. Orsù, avete ragione, Veniamo a conclusione. CETR. I miei parenti Sono tutti contenti. CEL. Già lo so, E senz'altro pensier vi sposerò. CETR. Quando? CEL. In questo momento. CETR. Su due piedi alla presta? Senz'altri testimoni? A testa a testa? CEL. Se voi volete me, s'io voglio voi, Se concluso fra noi fia il matrimonio, Ritroveremo un qualche testimonio. CETR. Vi pentirete poi? CEL. No, non temete. CETR. Ma se principe siete, Ed io son pastorella... CEL. Basta che mi piacete, e siete bella. CETR. Non ho dote... CEL. Che dote? La natura ci ha fatti tutti eguali; Ciascuno abbiamo i nostri capitali. CETR. Dunque... CEL. Dunque finiamola una volta. Le parole lasciam; veniamo ai fatti. CETR. Prima vuò che facciamo alcuni patti. Tutta vostra sarò io, Voi sarete tutto mio: Di quel cor né anche un tantino Altra donna non avrà. CEL. Un tantin di questo core Vuò donarlo a Ruspolina. Niente niente, poverina! Saria troppa crudeltà. CETR. Non signore. CEL. Ma perché? CETR. Lo vogl'io tutto per me. CEL. Ruspolina ancor m'adora. Vuò donarle, acciò non mora, Un tantin di questo cor. CETR. Poponcino è amante mio. Vuò donargli ancora io Un tantin della mia fé. CEL. Non signora. CETR. Ma perché? La vogl'io tutta per me. CETR. Patti chiari, e si decida: O d'accordo si divida, O d'un solo sia l'amor. CEL. } a due Cosa dice il vostro cor? CETR. CEL. Due bellezze amar potrei. CETR. E lo stesso anch'io farei. CEL. Ma il cor mio non ha costanza Un rivale a tollerar. CETR. Padron mio, quest'è l'usanza: Serbar fede, o sopportar. CEL. (La gelosia Può farmi tremar). CETR. (Questa è la via Di farlo cascar). Che dite? CEL. Non so. CETR. Dividere? CEL. Ah no. CETR. Vorreste ancora voi Far come fanno tanti, Con dieci far gli amanti, E tutta aver da noi La nostra fedeltà. CEL. Così anderebbe bene. CETR. Ma questo non conviene; Ma questo non si può. CEL. Ma dunque che facciamo? CETR. O tutto, o dividiamo. CEL. Dividere poi no. Tutto vostro è questo cor. CETR. Tutta vostra è la mia fé. a due E per altri non ve n'è. Tutto a te, - tutto a me. Non v'è niente - per la gente, E giammai ve ne sarà. (partono) SCENA OTTAVA Cortile adornato festivamente con archi e trionfi. CALIMONE, RUSPOLINA, POPONCINO, DORINA e Popolo. CORO Evviva Celidoro, Che principe sarà. E regni con decoro In pace e sanità. CAL. Or siam tutti contenti. Altro non resta Che Celidoro adesso Faccia un bella cosa: Che mandi intorno a ricercar la sposa. RUSP. Cosa occorre che mandi? Se la sposa vorrà, Anche qui fra di noi la troverà. POP. Sentite? Ruspolina (a Calimone) Degna di tanto onor spera esser ella. CAL. Non si conviene ad una pastorella. SCENA NONA CELIDORO in carro trionfale tirato dal Popolo festoso, e detti. CORO Evviva Celidoro, Che principe sarà. E regni con decoro In pace e sanità. (Scende Celidoro) DOR. Caro german! CEL. Germana Cara, vi stringo al petto. Calimone, anche voi con vero affetto. RUSP. E me signore?... (a Celidoro) CEL. E voi... Se sposar vi potessi... RUSP. E perché no? SCENA DECIMA CETRONELLA e detti. CETR. Ricordatevi il patto, e non si può. (a Celidoro) RUSP. Che patto? CEL. Cetronella Mi ha la vita salvata, Ed io... RUSP. Che cosa fu? CETR. Via, m'ha sposata. RUSP. Davvero? (melanconica) CAL. Ma, signore, Non è già vostra pari; Non è già di voi degna. CEL. Eh, la natura insegna Che tutti siamo fatti d'una pasta. Cetronella mi piace, e tanto basta. CAL. Non so che dir. RUSP. Pazienza! POP. Se tu vuoi l'eccellenza Con titolo cambiar più confidente, Ora della mia man ti fo un presente. RUSP. (Maledetta disgrazia!) Oh via, l'accetterò per farti grazia. CEL. Olà, venga Ruggiero, E venga la sua sposa. (ad una Guardia) Vuò fare un'altra cosa, Che mi par ragionevole ed umana. CETR. Lisaura sarà serva, ed io sovrana. SCENA ULTIMA RUGGIERO, LISAURA e detti. RUGG. Eccomi. Che si vuol? che veda io stesso I miei scorni, i miei danni? LIS. Movetevi a pietà de' nostri affanni. CEL. Sì, mi movo a pietà; liberi siete. Quella parte godrete Che bagna il mar verso il Levante: io voglio Temprar tanta sciagura, Spingendomi a ciò far sol la Natura. RUSP. Oh pietade! LIS. Oh clemenza! POP. Oh generoso! CAL. Oh effetto di Natura portentoso! CORO Oh gran Madre dei viventi, Oh Natura prodigiosa, Che dell'uomo sei pietosa, Che la fonte sei d'amor! Tu c'instilli i dolci affetti, Tu discopri cose arcane, Sei cagion di cose strane, E favelli in ogni cor. Fine del Dramma.